Mentre fervono le attività di ricostruzione, i cronisti continuano il loro lavoro per lasciare memoria storica di quanto avvenuto. Oggi è il turno del Tarizzo tirare le fila dei fatti. E’ interessante notare come si soffermi sui valori “non militari”, ma civili e religiosi, che hanno fatto la loro parte nel momento più difficile aiutando la popolazione e la Cittadella a resistere fino alla fine.

Questa felice e memorabile giornata che ha finito di coronare la condotta e il valore di Sua Altezza Reale, del Principe Eugenio e dell’armi Confederate, non si può negare che non sia stata tutto opera dell’amorevole
Patrocinio di Maria Vergine, e di tante fervorose Novene, alle quali si sono sempre mai appoggiate le speranze di questa Città. […] fervidi ricorsi si facevano a i tre Santi Martiri nostri Protettori Solutore, Adventore, e Ottavio.

Oltre le copiose limosine, che si davano, e si procacciavano in sovvenimento di migliaia di Poverelli distinguevasi la Pietà de i Signori Rettori in far offerire a Dio ogni Lunedì della Settimana con pompa di funebri apparati i Sacrifici delle sante Messe in suffragio dell’Anime degli Ufficiali e de’ Soldati ch’erano morti in difesa di questa loro Patria.

Tutte le volte che si dava qualche assalto da i Nemici si congregavano tutti i Poveri dello Spedale della Carità nella loro Chiesa ad implorare un buon successo nell’esposizione che si faceva del Venerabile: Anzi
non v’era Chiesa, ove non si praticasse questa sì santa funzione coll’intervento di numeroso Popolo […].

E sono senza pari le fatiche e le fervorose attenzioni di Monsignor Arcivescovo Vibò, che nulla guardando la
sua grave età, non ha mai mancato di trovarvi ovunque lo chiamassero i bisogni del suo Grege […].

L’assedio di questa Capitale n’è stata per mio avviso la pietra del paragone: essendosi vedute fin le Donne in numero di trecento ad occuparsi nell’iscavare e tragittare sulle spalle la terra nelle fossa e ne’ luoghi più soggetti all’infestamento delle batterie, e starsene colà immobili e intrepide con animo più che da femmine anche in veduta degli squarciati cadaveri di molte delle loro compagne.

I Poverelli dello Spedale della Carità, che non avevano miglior scorta che la propria innocenza caminavano a piccole squadre col riso sulle labbra a lavorare attorno le Opere sotterranee delle Mine, ove se accadeva che alcuno vi rimanesse estinto sotto le rovine, trattone fuori con molto stento il piccolo cadavero, se lo caricavano sulle spalle, e lo portavano sotto gli occhi del Pubblico a seppellire tra quelle sagre mura, d’onde poc’anzi era partito […].

E sono per altro considerevoli le spese fatte da questa Città per la provvigione d’ogni bisognevole; e di questa al primo avviso se ne diede l’incombenza a i sudetti Signori Sindici, e al Conte Sansoz Mastro di Ragione, i quali mercè le loro grandi diligenze nel copioso amasso che fecero di legna, fieno, grani, farine, vino e armenti superarono l’angustia del tempo […].

Pochi sono stati que’ Monisteri, Conventi, e Spedali a i quali non si sieno fatte distribuire grosse porzioni di
farine, vino, carne e denaro: non ostante che si sieno alimentati pendente l’assedio più di sei mila miserabili, e con l’istesso spirito di pietà si sono procurati gli opportuni sollievi a molte onorate Famiglie, che si soccorrevano con industria della segretezza per non far loro sentire il tormento della propria vergogna.

L’immagine in cima al post, un dipinto di Giuseppe Pietro Bagetti, raffigura Vittorio Amedeo II e il principe Eugenio che osservano Torino dalla collina di Superga, ed è conservato al Palazzo Reale di Torino.