Abbiamo visto qualche giorno fa che l’alto comando francese non si caratterizzava esattamente per unità e competenza. L’esatto contrario, per fortuna, si presentava tra i ranghi dei difensori.

Il Duca di Savoia, Sua Altezza Reale Vittorio Amedeo II, è soprannominato “la volpe savoiarda” e a volte con altri titoli meno lusinghieri, per la sua capacità, tra l’altro, di cambiare scelte e alleanze con disinvoltura, a seconda della convenienza. Di certo si tratta di un uomo intelligente, determinato, coraggioso e carismatico. Non combatte la guerra da dietro una scrivania, ma alla testa dei suoi uomini. Durante l’assedio non è a Torino. Con i suoi battaglioni di cavalleria ha fatto una sortita e adesso infastidisce il nemico con numerosi raid, spesso distogliendo truppe nemiche che lo inseguono per il territorio piemontese.
Un altro grosso pregio del Duca è che sa scegliere gli uomini di cui fidarsi.

A partire dal feldmaresciallo Wierich Von Daun, che qui è stato ribattezzato Virico Daun, e che qualcuno aveva soprannominato “il carapace”, per la sua propensione militare a chiudersi in difesa.
Un uomo robusto, che zoppica, dice, per una vecchia ferita (ma i maligni sostengono si tratti di gotta), e fuma un’enorme pipa di porcellana. Von Daun ha l’intelligenza e la capacità di mettersi al comando della difesa di Torino, sapendo di essere stato preferito ai comandanti torinesi. Eppure riesce a fare fronte comune con loro, spegnendo sul nascere invidie e gelosie che sarebbero deleterie. Von Daun riesce a mettere d’accordo imperiali (austriaci), torinesi, irlandesi e perfino ungheresi (che in Austria non sono affatto benvisti): un esercito multinazionale a difesa di Torino, che combatterà fianco a fianco fino all’ultimo respiro.

Al comando della Cittadella c’è il conte Pietro de Luc de la Roche d’Allery: piccolo magro, con una cicatrice sotto occhio sinistro e 4 ferite riportate nell’eroica difesa di Verrua del 1705. Qualcuno che sa come far resistere una piazzaforte ben oltre ogni previsione.

Poi c’è l’elegante e colto Giuseppe Maria Solaro della Margherita: il conte è il comandante generale artiglieria, e a lui dobbiamo alcune delle cronache più lucide e precise dell’assedio. Il reggimento d’artiglieria è diviso in battaglioni, uno dei quali, sotto il tenente colonnello Di Castellalfero, comanda la compagnia dei minatori. Alla testa dei minatori c’è il capitano Andrea Bozzolino, molto amato dai suoi uomini, tra i quali c’è un certo Passepartout (“passa dappertutto”), noto agli onori del mondo come Pietro Micca.

Una citazione importante va fatta per monsù Giuseppe Francesco Bertola di Murazzano, il capo degli ingegneri militari e a cui va dato il merito di aver realizzato tutte le opere di rafforzamento delle difese, compresa l’estensione della rete di cunicoli sotterranei.

Una cosa emerge analizzando i profili dell’alto comando piemontese. Sono tutte persone giuste al posto giusto. E sono tutte persone che sanno qual è il loro compito e lo eseguono in piena armonia.
L’esatto contrario di quello che succede in campo nemico.
E i risultati si vedono. Lo dice la storia.

Nell’immagine in testa al post, il Duca Vittorio Amedeo II.