L’unico evento rilevante del 31 maggio 1706 è la resa di cinquanta disertori francesi, senz’altro intimoriti dalla potenza di fuoco scatenata ieri in occasione delle celebrazioni di ringraziamento per la vittoria degli alleati nell’assedio di Barcellona.

Approfitteremo di questo momento di relativa calma per approfondire il servizio di “polizia” della Torino durante l’assedio. In altri post ho parlato della milizia urbana e dei cavalieri del vicario che, con ruoli diversi, si occupavano di svolgere la vigilanza, indagare sui crimini e assicurare la tranquillità dei cittadini torinesi. Un terzo ruolo importante era quello del cantoniere.

Ogni quartiere (o, come lo chiamavano allora “isola”) faceva parte di un “cantone” affidato a un cantoniere. Tra i cui incarichi c’erano il censimento degli abitanti, il controllo dei frequentatori delle taverne per tenere d’occhio delinquenti, vagabondi e sfaccendati. Chiunque volesse stabilirsi in un quartiere, anche solo temporaneamente, doveva dichiararlo al suo cantoniere di riferimento, così come i locandieri avevano obbligo di segnalare ai cantonieri data di arrivo e partenza di tutti i loro ospiti.

Durante l’assedio i cantonieri erano responsabili anche delle riserve d’acqua e delle attrezzature necessarie a spegnere gli incendi: per questo dovevano formare squadre di intervento con gli abitanti del quartiere, nelle quali fosse presente almeno un brentatore e un mastro carpentiere. I cantonieri si assicuravano che la Città fornisse un adeguato numero di secchi di cuoio, e che i pozzi fossero facilmente agibili con secchi, funi e carrucole.

Fare il cantoniere era un compito impegnativo, ma aveva i suoi vantaggi. Non si poteva essere arrestati per debiti, si aveva il permesso di portare armi “di misura” (un pugnale, per esempio, ma non un’alabarda), si godeva per sé e per i propri familiari della salvaguardia del Duca, si era esentati da alcuni tributi, per esempio sulla macina e sul vino.

Specie durante l’assedio, è comprensibile che i forestieri venissero seguiti con molta attenzione. Oltre a dare avviso ai cantonieri, gli osti e i proprietari di case che davano alloggio a un forestiero dovevano portarne comunicazione agli uffici delegati. Perfino i religiosi avevano quest’obbligo, anche se non giornaliero come per gli altri. Agli ingressi della città si davano ai nuovi arrivati tutte le indicazioni su come comportarsi, facendo particolare riferimento al divieto di andare in giro armati.

Il dipinto in testa al post, di Giovanni Michele Graneri, raffigura un episodio di quelli che all’epoca richiedevano quasi di sicuro l’intervento del cantoniere: una rissa davanti a una locanda.

Qualcuno bussò alla porta della carrozza e ordinò: «Scendete.»
La prima a obbedire fu Costanza. Toccò ai due mercanti, e la carrozza ondeggiò mentre si alleggeriva del loro peso. Laura lasciò che Fioreste e Maurizio la precedessero, poi allungò un piede e tastò lo scalino: si sentiva intorpidita e le gambe le tremavano, tanto che dovette aggrapparsi alla porta. Fioreste la prese per un braccio, aiutandola a scendere.
Passava molta gente: a piedi, in carrozza, a cavallo. Tutti si fermavano a parlare con le guardie, ma a qualcuno bastava mostrare un documento per passare senza altri controlli. Gli spazzini pigiavano ai lati della strada poltiglia di fango e sterco di cavallo.
Laura si allontanò di qualche passo dalla carrozza per togliersi dall’ombra e ammirare le porte della città. Erano maestose, rivestite di marmo sagomato a piastre sporgenti, con nicchie colonnate che ospitavano statue di sovrani.
«…infine avete il dovere di comunicare la residenza al cantoniere della vostra isola» stava spiegando un giovane. Portava uno spadino alla cintura e un fucile alla spalla, ma indossava una giacca da civile. Il segno distintivo delle guardie sembrava una coccarda azzurra sul cappello. Laura si chiese se il Duca fosse così povero da non poter dare un’uniforme ai suoi soldati.
«Come faccio a trovare il cantoniere?» chiese Fioreste alla guardia.
«Tutti i torinesi conoscono il loro cantoniere.»
«Lei è mia figlia Laura. Laura Chevalier.»
Laura realizzò che era la prima volta che Fioreste la chiamava “mia figlia” anziché “la figlia di mia moglie”. Fu un bel pensiero, caldo e inaspettato.
Il ragazzo le lanciò un’occhiata distratta, annuì e scrisse qualcosa su un piccolo registro che teneva in mano: «Devo chiedervi se portate con voi delle armi. Il Duca ha vietato di andare in giro armati. A eccezione dei militari.»
Fioreste annuì e disse: «Molto saggio.»

(la città delle streghe)