Gustìn sollevò lo sguardo dall’altra parte del fiume, dove le reti stese dai pescatori erano baciate dal sole . Sulla sommità dell’altura boscosa che i torinesi chiamavano “monte” sorgeva il convento dei padri Cappuccini. A destra e a sinistra, assecondando il corso del Po, si stendevano colline punteggiate di boschi e vigne, cascinali, fortini e torri d’avvistamento.
«State pensando anche voi al Miracolo del Monte?»
Gustìn si girò a guardare il conte Gropello, in tempo per cogliere la sua espressione divertita. Si stava prendendo gioco di lui e del suo scetticismo.
Il fatto di cui parlava era avvenuto più di sessanta anni prima. Il Duca era morto per aver mangiato la pietanza sbagliata, e si diceva che la ricetta fosse arrivata da Parigi, dettata dal cardinale Richelieu per conquistare il Ducato senza combattere. La moglie del Duca, infatti, era sorella di Luigi XIII.
I due cognati si erano opposti alla Madama Reale con le armi, e la disputa di famiglia era diventata una guerra che aveva coinvolto le potenze straniere.
Quando le soldataglie di Francia erano giunte a Torino, gli abitanti del Borgo Moschino erano fuggiti nel convento sul monte, confidando che il timore di profanare un luogo sacro tenesse lontani i saccheggiatori. Invece i Francesi, sfondato il portone della chiesa, avevano scatenato un massacro. Uno di loro si era avvicinato all’altare per rubare i paramenti, ma dal tabernacolo si era propagata una fiamma, mettendo in fuga i blasfemi.
«L’unico miracolo fu che in chiesa entrò un soldato tanto stupido da farsi scoppiare addosso una fiaschetta di polvere» osservò Gustìn. Il Conte gli rivolse un’occhiata di commiserazione:
«Ogni tanto dovreste dare ascolto alla saggezza di chi ne sa più di voi.»
«Questa saggezza dovrebbe per caso convincermi che Dio fu dalla nostra parte durante la Guerra dei Cognati? Che lo sarà anche questa volta?»
«Credete un po’ a quel che vi pare» grugnì il Conte.
Gustìn avrebbe voluto rispondergli con altri racconti che aveva sentito da bambino e che riguardavano il Monte: fantasmi usciti dalle fosse comuni dell’ultima peste, viandanti scomparsi sulla strada tra Torino e Chieri, cadaveri sbranati da bestie feroci. Se uno voleva credere in una favola, non aveva che da scegliere quella che preferiva.

(La Città delle Streghe)

Oggi desidero parlarvi di un luogo molto amato dai torinesi, un belvedere sulla città dalla storia affascinante.

La posizione sopraelevata e la vicinanza col centro cittadino ha favorito per il “monte” una vocazione sia militare (per il controllo) che religiosa (per la vicinanza al cielo). Dall’epoca romana rimangono tracce di frammenti marmorei che pare provenissero da un altare dedicato a Giove, ma anche di postazioni fortificate. Alcuni ritrovamenti di inizio anni 90 (un cucchiaio in rame e un piatto con le insegne dell’ordine, più un bacile decorato dal nodo di Salomone) confermano le fonti d’archivio secondo cui tra il 1200 e il 1300 il Monte dei Cappuccini fu una fortezza dei Cavalieri Templari. Già nel 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, il monte rivelò un antico scheletro che forse apparteneva a un notabile templare: era stato seppellito nudo e cucito nel sudario, secondo il voto di povertà templare.
Ma torniamo al Monte. Alla fine del 1500 il Duca di Savoia, per recuperare consenso tra i cattolici, fece dono del colle all’ordine dei frati cappuccini, che vi edificarono il convento che possiamo vedere tuttora.

Il cosiddetto Miracolo, di cui faccio menzione nel dialogo tra Gustìn e il conte Gropello, è testimoniato dalle cronache dei padri cappuccini dell’epoca. A questo segno dell’ira divina contro il sacrilegio commessio dalle soldataglie francesi si uniscono altri fatti misteriosi.
Pare infatti che i dintorni del convento si manifesti talvolta una presenza impalpabile: lo spettro del conte Filippo d’Aglié, vissuto verso la metà del 600, apprezzato intellettuale, diplomatico e militare, ma famoso ancora di più per la sua chiacchierata (e proibita) storia d’amore con la Madama Reale. Durante alcuni lavori di restauro, infatti, nel giardino del convento furono scoperti i resti di un uomo che avevano per corredo due fornelli di pipa in ceramica bianca di ottima fattura… a testimonianza di una passione coltivata in vita. Il Conte d’Aglié, pare, fosse talmente amante del tabacco da prenderne ispirazione per un balletto di corte da lui composto.
Sto di nuovo divagando.

Infine, durante i lavori per rendere transitabile alle auto la salita al colle riaffiorarono dal terreno i resti di cadaveri sepolti in fosse comuni: le vittime delle pestilenze che colpirono la città all’inizio del seicento.

Oggi il ricordo di tutti questi eventi passati riposa in pace, e il Monte dei Cappuccini è metà non solo di innamorati e turisti, ma anche di tutti coloro che vogliono godersi in tranquillità un panorama spettacolare.