Questo luogo di culto, successivamente legato al ruolo di cappella arcivescovile, all’inizio del 1700 apparteneva ai preti Padri della Missione, un ordine religioso molto amato e popolare.

La storia dei padri missionari a Torino inizia a metà del 1600, quando vengono chiamati dal marchese di Pianezza, gran ciambellano di corte, figura molto influente e (pare) molto incline alla spiritualità.

La “missione” dei padri era quella di diffondere il seme della Divina Parola e, chiamandoli a Torino, il marchese chiese loro di “procurare riforma dei costumi tra i contadini”. A quei tempi le comunità rurali erano molto più ignoranti di quanto si possa immaginare in merito alla legge evangelica, e spesso le superstizioni contadine celavano veri e propri residui di credenze pagane.

Su mandato del loro fondatore, Vincenzo de Paoli, quattro sacerdoti arrivano a Torino il 10 novembre del 1655 e si mettono subito all’opera, manco a dirlo, a Pianezza, il feudo del loro sostenitore a corte.

I risultati sono, a quanto sembra, talmente efficaci che il felicissimo marchese di Pianezza  concede all’ordine 6000 scudi di dote dopo nemmeno due mesi dal loro arrivo.

I missionari fanno professione di umiltà: la regola impedisce loro perfino di difendere il buon nome della congregazione qualora qualcuno la insulti in loro presenza. Di questo spirito sono testimoni le diverse lettere scambiate tra Vincenzo de Paoli e il signor Martin, che era a capo dei preti mandati a Torino, ma anche quella con cui il fondatore dell’ordine si raccomanda al marchese di Pianezza:

“Monsignore,

secondo il suo ordine le mandiamo quattro de’ nostri preti. Sono tali che colla grazia di Dio potranno rendere qualche piccolo servigio al Signore rispetto al povero popolo della campagna, e dell’ordine ecclesiastico.

Ella troverà molti difetti in questi poveri missionarii; Lo prego umilissimamente, Monsignore, di sopportarli, di avvertirli de’ loro mancamenti, e di correggerli come adopera un buon padre co’ propri figlioli. Trasferisco perciò in Lei il potere che Nostro Signore mi ha dato in questa parte. Piacesse a Dio che fossi in un luogo tale da potermi anch’io prevalere del vantaggio che avranno di vederla, Monsignore, di profittare delle parole di vita eterna che escono dalla sua bocca, e di tanti buoni esempi che la vita di lei mostra a tutto il mondo. Ne spererei qualche ajuto per emendar la mia, e divenire con miglio titolo”.

Suo Umilissimo Servitore

VINCENZO DE PAOLI

indegno prete della Missione.

Dopo la loro opera a Pianezza i missionari replicano con buon successo a Scalenghe.

Il gran ciambellano li porta in palmo di mano e, naturalmente, cominciano a fioccare invidie e maldicenze: una di queste accusa i padri missionari di istigare la popolazione a non pagare le tasse!

In pochi anni i missionari hanno una tale quantità di rendite ed elemosine da poter comprare una parte del giardino del conte Broglia per costruirvi una casa con una cappella interna. E’ il 1663 quando il Duca Carlo Emanuele II fa visita ai missionari e, visto che è l’ora di pranzo, “si ferma a mangiare da loro”. Dopo pranzo, tra un amaro e un digestivo, fa due passi con i preti e visita chiesa e cappella. Alla fine della visita il commento è del tipo: “Eh, ma qui ci vorrebbe una chiesa. Facciamo che i soldi li metto io, avete il permesso di costruirlo”.

Tutto bello, ma si sa che nella vita non sempre le cose filano per il verso giusto. Non certo la vita di Carlo Emanuele II, che finisce improvvisamente nel 1675 a soli 41 anni, a causa della malaria.

Per fortuna dei missionari alcuni privati benefattori si sostituiscono al Duca. Tra i benefattori, per curiosità, c’è Gabriella Mesme di Marolles, un personaggio che appare anche nella mia trilogia dell’assedio, e che all’epoca poteva vantarsi di essere stata una delle favorite di Carlo Emanuele.

La chiesa dell’Immacolata Concezione viene finalmente consacrata, anche se incompleta, nel 1697. Pur non avendone la conferma documentale, se ne attribuisce il progetto a Guarino Guarini, per ragioni ‘stilistiche’, ma anche perché all’epoca era lui l’architetto ufficiale di corte.

La curiosità di questo edificio è il suo prospetto ‘ondeggiante’, che risulta da far intersecare un cerchio concavo e uno convesso. A causa delle ristrettezze economiche causate dalla Guerra di Successione Spagnola, la facciata sarà conclusa solo nel 1730, prendendo l’aspetto che conosciamo.

Nell’isolato dei padri della missione c’è anche un convitto, in cui essi si prendono cura dei giovani ecclesiastici.

Due curiosità legate a questo luogo. Anzi tre.

  1. Alla morte di Sebastiano Valfré, Vittorio Amedeo II (che non era più duca, ma re) si trovò nella necessità di cercarsi un nuovo confessore. Gli avevano parlato così bene di tale Giovanni Maino prete missionario che andò a trovarlo di persona. Maino era nell’orto che si prendeva cura di alcune piantine, e il re gli disse che intendeva affidargliene altre, di piantine, ancora più importanti: i suoi figli. Oltre a nominarlo educatore dei principini, lo fece poi suo confessore.
  2. All’inizio del XIX secolo la chiesa divenne oratorio per le funzioni particolari dell’arcivescovo: è qui che venne ordinato sacerdote san Giovanni Bosco. Era il 5 giugno 1841.
  3. Di fronte alla chiesa dell’Immacolata Concezione, ne “la città delle streghe”, Gustìn fa la conoscenza con un personaggio tutt’altro che secondario: Tommaso Viarengo.

L’immagine in testa al post è tratta da wikipedia.