Gustìn uscì dalla Barra di Ferro accentuando l’andatura incerta, s’infilò nel vicolo e voltò le spalle alla strada, fingendo di svuotare la vescica.
Nella taverna i soldati reclamavano a gran voce un brindisi per il reggimento Maffei, lo ottennero tra risate e auguri di buona fortuna. La porta della taverna cigolò, ed ecco l’uomo in blu che s’incamminava in via degli Stampatori.
Un istante dopo uscì Felice: Gustìn gli indicò la direzione e si addentrò nel vicolo per girare attorno all’isolato. Mentre correva, rivoltò la giacca dall’altra parte: era cucita con stoffe di colori diversi sui due lati, per aiutarlo a confondersi.
Quando la sagoma del suo uomo attraversò via della Madonnetta, Gustìn lo sta-va già aspettando sotto l’androne di un palazzo e si mise alle sue calcagna: a quel punto sarebbe stato Felice ad aggirare la linea dei palazzi per attendere più avanti. Era un trucco che usavano spesso, quando pedinavano qualcuno. Li facilitava la struttura a quadrato dei quartieri di Torino.
In via Dora Grossa, il suono dei tacchi di numerose scarpe sull’acciottolato sembrava una grandinata. I torinesi passeggiavano e si attardavano davanti alle bot-teghe, scostandosi per far passare le carrozze che andavano e venivano.
Gustìn fu costretto a rallentare ma non era preoccupato. Il suo uomo aveva gli stessi problemi, oltre al fatto che la scelta degli abiti, necessaria per farsi ricono-scere dal complice nella taverna, lo rendeva inconfondibile in mezzo alla gente.
All’improvviso, però, Abito Blu attraversò la strada e si gettò in un vicolo: passò così vicino davanti a un carro che obbligò il conducente a tirare le redini per fermare i cavalli, in una sequenza di improperi.
Gustìn comprese di essere stato scoperto, cominciò a correre. Per poco non travolse una donna che usciva di casa per svuotare un secchio, la sentì inveire alle sue spalle.

(La Città delle Streghe)

Via della Dora Grossa, oggi via Garibaldi, è una delle più antiche e importanti vie della vecchia Torino. Faceva parte della città romana, la via del Decumanus Maximus che collegava la Porta Susina con la Porta Pretoria dell’attuale Piazza Castello.

Il suo nome era legato al fatto che veniva percorsa al centro da un canale d’acqua corrente derivato dalla Dora. Molte strade erano dotate di canali (che avevano funzione di pulizia delle strade, eliminando la spazzatura o la neve accumulata, oltre che fornire scorta d’acqua in caso di incendi), ma quello che percorreva via Dora Grossa era, appunto, più grande degli altri.

A differenza di quella odierna, dritta e regolare, era una via molto tortuosa, con case di diverse altezze e forme.
Possiamo immaginarla piena di tende e banchi in mezzo alla strada, con slarghi e strettorie che in certi punti rendevano difficile il passaggio. I negozi che caratterizzano via Garibaldi arrivarono solo dopo la metà del 1800.

L’aspetto che conosciamo ora è dovuto a lavori che durarono per quasi tutta la seconda metà del 1700 e che portarono a demolizioni e ricostruzioni secondo un’impostazione urbanistica “unitaria”. Si riconosce la mano dello Juvarra sulle facciate dei palazzi. Su questa via sorgeva la torre civica, abbattuta durante la dominazione napoleonica come tanti altri simboli torinesii. Era sormontata da una statua di un toro rampante di bronzo, con le corna e la coda argentate. Il toro era cavo e dotato di fori tali per cui il vento, passandovi attraverso, emetteva suoni simili a strani muggiti. Durante l’assedio del 1706 la torre fu colpita spesso dalle cannonate francesi, in quanto era un’importante punto d’osservazione.

L’immagine di repertorio è tratta dal sito Atlas and Landscapes.