Un libro che coniuga reale e fantastico.

Accanto a una precisa e vivace ricostruzione storica, l’autore ha inserito una parte che affonda le radici in credenze popolari, e l’ha sviluppata coinvolgendo il lettore che si domanda, fino all’ultimo, se sia vero o no. La parte razionale fa dire che è tutta suggestione, tutto facilmente spiegabile; ma c’è anche una parte che vorrebbe che fosse davvero magia, perché le streghe e la magia hanno un fascino innegabile. Non crederci non implica non volere che esistano.

Ma procediamo con ordine.

Iniziamo con Gustìn, un giovane ladruncolo, che ruba per sopravvivere. Forgiato nei bassifondi torinesi, ha imparato presto che la sua vita per gli altri non vale niente, perciò coglie al volo l’occasione di un riscatto, di sopravvivenza.

Da un’altra parte un villaggio viene raso al suolo, gli abitanti uccisi o violentati.

Qualche anno dopo ritroviamo Gustìn cresciuto, diventato uomo e arruolato nell’esercito. E Bertina, sopravvissuta del villaggio messo a ferro e fuoco, in viaggio col marito Fioreste Chevalier e la figlia Laura. Si accingono a lasciare Villafranca, in costa azzurra, dove la guerra è alle porte, per Torino, dove tutto dovrebbe essere più tranquillo.

Il viaggio non è esente da rischi. Prima di partire a Laura viene fatta una strana predizione da una donna che sembra conoscerla e che ha paura di lei. Laura scopre un potere: percepisce la paura altrui, capisce di intimorire gli altri e riesce a ribaltare i rapporti di forza. Un potere che le tornerà utile anche in altre circostanze, benché non ne sembri ancora consapevole.

Durante il viaggio si imbatte in quella che sembra una strega. Ma quanto è vero e quanto, come dicevo all’inizio, è suggestione?

Mentre Gustìn partecipa a una riconciliazione dell’esercito torinese con i briganti, Laura Chevalier è costretta a fronteggiare difficoltà mai immaginate prima. Morte, malattia, dolore, povertà e tradimenti diventeranno la sua nuova quotidianità, eppure non molla mai. Resiste e cerca di risollevarsi. L’incontro fortuito con un mendicante che le parla dell’Uomo del Crocicchio è determinante. Esiste davvero? E chi è? C’è chi dice che sia il diavolo.

E chi è il misterioso salvatore, che l’aiuta quando tutto sembra perduto?

Le storie di Gustìn e Laura corrono in parallelo, a volte si sfiorano, non si intrecciano ancora mai. Gustìn coi ricordi ci mostra quanto poco valesse la vita dei ragazzini dei bassifondi, di quanto poco bastasse per sbatterli in galera o sulla forca, delle difficoltà e della legge del più forte e del più furbo. Gustìn adulto ci rende partecipe delle mosse politiche, degli accordi firmati col sangue, per poi essere traditi l’indomani. E ancora una volta di come gli innocenti, ma poveri, vengano spesso sacrificati per un “bene superiore”.

Laura ci mostra un’altra Torino: lei da figlia amata e benestante, si ritrova orfana e povera.

“Voleva vivere ed essere felice perché la mamma aveva dato la vita per questo. E sarebbe diventata una brava figlia per Fioreste, una persona onesta e buona, di cui sua madre sarebbe stata fiera”.

Un libro che fa invocare giustizia per gli innocenti e che ti fa augurare che la magia esista davvero. Vorresti vederla all’opera, per salvare i più deboli, una rivalsa dei diseredati, dei maltrattati, nei confronti dei più forti e prepotenti. Un libro che da un parte ti dice che i più deboli dal punto di vista sociale verranno sempre calpestati, dall’altra alimenta il sogno e il desiderio che tutti possano farcela, che esista una giustizia altra, un ordine cosmico, un karma che colpisca in maniera precisa e puntuale e in questa vita, i cattivi, quelli che si credono sopra ogni giustizia, che sono convinti di farla sempre franca. Il desiderio di un riequilibrio delle forze e delle possibilità.

“Per quanto si riempisse la gola di pietanze saporite e ottimo vino, non riusciva a togliersi il senso di amor dalla bocca.

Una persona innocente aveva pagato per colpa sua.

Una persona innocente che lui aveva contribuito a catturare.

Provare a giustificarsi era come far galleggiare una barca che faceva acqua. Alla fine, il risultato era sempre lo stesso. Qualcosa nella sua indagine non era andata nel verso giusto e per questo, ogni volta che ci pensava, Gustìn si sentiva mancare il fiato. Come se su quella barca piena di buchi ci fosse stato lui”.

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“La città delle streghe”