La notte tra il 26 e il 27 agosto 1706 è quella del grande assalto francese, che verrà ricordato come “la battaglia di San Secondo”. Forse ricorderete che di San Secondo, martire romano e protettore di Torino, abbiamo parlato qualche giorno fa. Il 26 agosto, il giorno della sua ricorrenza, trascorre in uno stato di tensione spasmodica..

Le ore passano e non accade niente, ma tutti sanno che capiterà qualcosa. Sugli spalti della Cittadella i tamburini suonano ordini di battaglia, i soldati si schierano, i preti si aggirano impartendo l’estrema unzione e offrendo rosolio. In campo francese, probabilmente, capita qualcosa di molto simile.

L’assalto comincia alle otto di sera. Due grandi esplosioni scuotono l’aria e il fossato davanti alla mezzaluna di Soccorso viene invaso da fumo e detriti. Quando il fumo si dissolve, i difensori vedono i fori neri delle due gallerie che da giorni i minatori nemici stavano scavando per aprirsi un cammino verso la breccia aperta dai cannoni sulla mezzaluna stessa.

Con l’aiuto del plastico della Cittadella esposto al Museo Pietro Micca, vediamo di contestualizzare la situazione.

La mezzaluna di soccorso (1) è ormai duramente provata dal bombardamento tanto che si è formata una breccia (2). Le due gallerie francesi sbucano in corrispondenza della breccia e del bastione Beato Amedeo (3).

Da quelle due gallerie, verso l’una di notte, escono i fanti francesi, a migliaia. Sciamano come un formicaio verso le brecce, esposti a un tremendo fuoco nemico. Un anonimo cronista dice: “vennero a un furiosissimo assalto con scale alla mano per salire la mezzaluna e le controguardie, ma trovarono una resistenza pari al loro ardire”.

In questo momento di terrore e confusione, molti soldati credono di vedere i Santi in carne e ossa schierati al loro fianco per combattere i francesi!

Rincuorati dall’improvvisa apparizione o, più razionalmente, dalle parole dei loro comandanti, i difensori della Cittadella reagiscono. Dalle casematte dei bastioni San Maurizio e Beato Amedeo i cannoni tirano ad alzo zero con cartocci di mitraglia, che scaricano sugli assalitori un uragano di schegge e pezzi di ferro aprendo paurosi vuoti nell’assalto. Dagli spalti si scaricano sui francesi sacchetti di polvere incendiati, granate e fuochi artificiali. Si vedono molti soldati bruciare vivi!

Ciò malgrado i nemici sono in tale soprannumero che riescono ad arrivare agli spalti. Lo stesso Duca de la Feuillade è tra le truppe a incoraggiarle con promesse di grandi ricompense.

Il primo assalto viene respinto, il secondo è ancora più feroce. Si scatena uno spaventoso massacro alla baionetta, e come riferiscono le cronache: “sorprendeva di vedere in confusa mischia gli amici ed i nemici ad afferrarsi arrabbiatamente pe’ capelli, e graffiarsi fin coll’unghie la faccia” […] La carneficina che ne facciamo è tale, che nella gioia di respingerli non possiamo impedirci di compatirli. Quelli che abbordano la mezzaluna sono fatti a pezzi, quelli che salgono sono quasi tutti accoppati, gli altri che li appoggiano sono fulminati nel fossato”.

Anche il secondo assalto è respinto dopo che per un attimo i francesi erano riusciti ad attestarsi sulla mezzaluna di Soccorso. Sembra fatta, ma la sorte questa volta gioca un brutto tiro ai difensori della Cittadella.

Una bomba sparata dai cannoni nemici colpisce, quasi per caso, un deposito provvisorio di munizioni e polvere da sparo posizionato sulla mezzaluna appena riconquistata. Le vittime sono praticamente tutte sabaude. Il rumore dell’esplosione e la fiammata che investe la fortificazione è tale da far inorridire i soldati di entrambi gli schieramenti e interrompere, per un attimo, perfino lo scontro. Che un attimo dopo riprende ancora più violento.

I francesi scagliano il terzo assalto, e finalmente (per loro…) riescono ad attestarsi nella mezzaluna e sulle due controguardie, fortificandosi con sacchi di sabbia e gabbioni.

E’ giunta l’alba del 27 agosto e la bandiera con il giglio sventola sulle postazioni conquistate.
Il Duca de La Feuillade manda subito un messaggero a Versailles la notizia, convinto di avere già vinto. Della serie “non dire gatto finché non ce l’hai nel sacco”… una vigorosa sortita dei difensori riconquista la mezzaluna quasi subito.

Sul fare del giorno il generale Von Daun comanda una sortita per riconquistare le due controguardie: l’assalto viene fatto precedere dall’esplosione di due mine che distruggono cannoni, equipaggiamenti e fanno una strage di artiglieri e soldati. Mentre i francesi stanno cercando di riordinarsi vengono investiti dall’assalto dei reggimenti del Duca e si danno alla fuga abbandonando le postazioni appena riconquistate.

La Cittadella, dopo un’intera ferocissima notte e mezza giornata di combattimenti, è ancora nelle mani dei Savoia. Il conto delle perdite parla di quattrocento soldati e una sessantina di ufficiali morti (per la maggior parte a causa dell’esplosione del magazzino temporaneo di polvere da sparo), ma è probabile che siano di più e che le cronache di parte minimizzino le perdite. Non si ha un conteggio preciso dei morti dalla parte francese, ma sono sicuramente centinaia, forse migliaia: il fossato e gli spalti sono ingombri di cadaveri a perdita d’occhio.

Questa giornata è la vera chiave di volta dell’assedio di Torino: nella notte tra il 26 e il 27 agosto il Duca de La Feuillade si è giocato il tutto per tutto. E ha perso. Ha perso uomini uomini, ha perso fiducia, ha perso speranza.

Da questo momento in poi i francesi non tenteranno più assalti convinti alla Cittadella, da una parte illudendosi che si arrenda per mancanza di polvere da sparo (e nemmeno immaginano quanto siano vicini a veder realizzata questa speranza), dall’altra preparandosi ad affrontare il principe Eugenio che ormai è sempre più vicino.

La cronaca dell’assedio ha ancora molti episodi di cui parlare: dalle gesta eroiche dei popolani Pietro Micca e Maria Bricca, all’ordine del generale Von Daun impartito il 28 agosto di cui non si parla molto volentieri, e che getta un’ombra sulla fulgida luce dell’eroismo torinese che ci rende orgogliosi e ci fa credere di essere dalla parte dei “buoni”. Ma di questo parleremo domani.

Per concludere questo drammatico e trionfale affresco di storia, vi lascio alla lettura romanzata dell’inizio dell’assalto vissuto dall’interno della Cittadella.

Il tremore svegliò Gustìn di soprassalto. Una bomba.
Subito dopo un’altra. Le pareti vibrarono. Suoni di tamburi, richiami d’allarme.
Gustìn aveva dormito con i vestiti addosso, come tutti i soldati della Cittadella, ad attendere il grande assalto.
I piani dei francesi l’avevano previsto per il venticinque, giorno di San Luigi Re, ma le mine scoppiate sotto le sue batterie avevano impedito a La Feuillade di offrire al Re Sole la resa di Torino come regalo per l’onomastico del suo avo fatto santo. Ecco che ci riprovava appena una notte dopo, nel giorno dedicato a San Secondo patrono di Torino.
Gustìn si precipitò nel corridoio che costeggiava il dormitorio. Intorno a lui era tutto un tintinnare di metallo e bestemmie, di ordini gridati e preghiere a bassa voce. L’aria era impregnata della puzza dolciastra di sudore e paura.
Una bomba attraversò un muro a non più di venti passi, sollevando schegge di pietra e gettando a terra i soldati che erano raccolti lì vicino: qualcuno riuscì a rialzarsi, illeso per miracolo, sputando terra e sangue, invocando un dottore o un prete. Altri rimasero a terra come bambole rotte. Gustìn passò oltre per raggiungere il cortile illuminato a giorno dalle fiamme. I reggimenti, in file ordinate, attendevano ordini; i giovanissimi tamburini rullavano insieme un battito assordante. I preti si spostavano tra i soldati, mormorando preghiere, spruzzando acqua benedetta sulle mani e sulle fronti protese.
Grandi nubi prodotte dal fumo dei cannoni si addensavano sopra le mura, attraversate dai razzi luminosi che sembravano lampi multicolore e facevano un suono simile a quello di tende strappate. […] La morsa della paura gli serrava lo stomaco. Si spostò sul terreno sconquassato dai crateri delle bombe, attraversò i ponti sulle trincee e si arrampicò sulle scale per raggiungere gli spalti davanti alla Porta del Soccorso. La prima linea.
Proprio sotto di lui c’era la fortificazione che prendeva il nome di “mezzaluna”: a guardarla dall’alto sembrava piuttosto una punta di freccia rivolta al nemico, con il camminamento e il ponte levatoio che la congiungevano alla Cittadella a fare da asta della freccia. A destra c’era il bastione Beato Amedeo, a sinistra il San Maurizio, protetti dal fossato e dalle controguardie di forma triangolare.
Un sergente del reggimento Savoia, con l’uniforme bianca e i risvolti rossi, gli si parò davanti zoppicando: aveva una benda che gli copriva un occhio, e la parrucca di traverso da cui colavano rivoli di sudore.
«Non siete al vostro posto!» sbraitò. «La milizia deve rimanere di riserva, tornate indietro!»

(La Città dei Santi)

L’illustrazione di oggi raffigura gli spalti della Cittadella durante la battaglia di San Secondo, tratta da “La vera storia di Pietro Micca” del Corriere dei Piccoli, che a sua volta si è ispirata ai disegni del generale Guido Amoretti, colui che ha riportato alla luce i resti del sistema di difesa sotterraneo di Torino, oggi facenti parte del museo Pietro Micca.