La necessità di conservare il cibo ha accomunato l’umanità sin dalla preistoria. L’utilizzo di locali appositi per la produzione di ghiaccio in modo da congelare le vivande per non farle deperire è testimoniato sin dal 1700 avanti Cristo, in epoca sumera. Per quanto riguarda l’Italia e in particolare Torino, sappiamo che le “ghiacciaie”, antenate dei moderni congelatori, dovevano essere sicuramente presenti già in epoca romana.

Il principio era molto semplice: una grossa buca nel terreno chiusa da un edificio. La buca veniva riempita di neve portata dalle montagne che, ben pressata, diventava ghiaccio. Oppure veniva raggiunta da appositi canali. Il freddo naturale del locale faceva il resto.

A Torino sappiamo che l’acqua derivata dalla Dora affluiva in città attraverso una rete di canali (le Doire), che scorrevano al centro delle strade. Il ramo settentrionale, che seguiva il perimetro interno delle fortificazioni, alimentava le fosse per la formazione del ghiaccio, nell’area compresa tra la Consolata e l’attuale piazza Emanuele Filiberto, che allora era nota come Piazza della Frutta.

Il ghiaccio giungeva in città dai ghiacciai della val di Susa e delle valli di Lanzo, che venivano usati come vere e proprie cave: tagliato in blocchi, il ghiaccio era avvolto in sacchi di iuta bagnata e trasportato in città nelle ore più fredde del giorno in modo da farne sciogliere il meno possibile.

Non abbiamo una precisa riproduzione di come potevano apparire le ghiacciaie torinesi all’inizio del 1700, dal momento che le prime mappe in cui appaiono sono posteriori di cinquant’anni. Ho quindi trovato interessante, facendo ricerche, questa riproduzione di una ghiacciaia di Strozza (BG): quella (anzi quelle, visto che erano tre) di Torino doveva essere parecchio più grande.

ghiacciaia1

Possiamo immaginare cosa significava scendere nelle ghiacciaie prendendo spunto da altri luoghi, rimasti “come allora”. Date un’occhiata alle ghiacciaie di Sondrio:

ghiacciaie di sondrio

Queste invece sono torinesi (immagine tratta dal sito di Museotorino):

L’immagine in testa al post è torinese, ma non si riferisce alle ghiacciaie bensì alle gallerie di mina e contromina del Museo Pietro Micca. Possiamo immaginare che all’inizio del 1700 anche le scale di collegamento tra ghiacciaie e superficie avessero un aspetto molto simile.

 

Scendere nelle ghiacciaie dava la sensazione di entrare dal soffitto di una chiesa mai portata a termine, invece non erano che enormi fosse scavate in un luogo molto freddo. I costruttori chiamavano quelle fosse guazzi e a Torino i guazzi erano tre, con le pareti e il fondo in muratura. Li riforniva d’acqua uno dei canali della Dora, e a creare il freddo erano la terra, i mattoni e la profondità.
Gustìn sapeva che quel luogo esisteva da molto tempo: i macellai di Torino avevano bisogno di ghiaccio per conservare la carne, gli ambulanti per la frutta e la verdura, i medici per curare febbri e ascessi, i cuochi per preparare bevande e sorbetti. Ma per quanto antiche fossero le ghiacciaie, Gustìn era sicuro che il luogo che stavano cercando lo fosse ancora di più.

(La Città dei Santi)