«Come mai avete in odio i preti?» Anna spezzò il silenzio, con un tono che pareva di noncuranza. Le sue parole erano acute come la lama di una baionetta.
«Non ricordavo di avervelo detto» rispose Gustìn.
«Non a me, a don Egidio. E se anche non l’aveste detto, bastava guardare la vostra faccia ogni volta che parlava.»
Gustìn sentiva il cuore pompare più forte, e non riuscì a capire se fosse per lo sforzo della camminata o per quello che Anna gli aveva detto. Non aveva fatto nulla per nascondere la sua antipatia a Don Egidio: allora perché si sentiva come se fosse stato colto sul fatto mentre faceva qualcosa di sbagliato?
Il fertile terreno, che nutriva l’erba e le piante più in basso, divenne di argilla rossa e pietra sbriciolata, i boschi di castagno e roverella lasciarono il posto a betulle e pini. E il cesto di Anna continuava a restare vuoto.
«Avete un nome da orfano: Graziadei» continuò lei, sempre con innocente disinvoltura. «Vi hanno allevato i preti, vero? E’ per questo che li odiate tanto?»
«Sì, sono un orfano anche io. Ma non ho avuto la vostra fortuna» replicò, con la stessa gentilezza.
Lei non accusò un solo fremito. Aveva, sì, le guance arrossate, ma potevano esserlo per effetto della salita. Da qualche parte si alzò il canto di un’oca selvatica.
«L’avete saputo da mio padre?»
«Qualcosa del genere. Perdonatemi, è stata una risposta meschina.»
«Non c’è bisogno di scuse. Odio l’ipocrisia.»
Il viottolo girò a destra e si aprì su un prato scosceso. Da lì si biforcava, inoltrandosi nel fitto del bosco da una parte, dall’altra scendendo verso il più grande dei due laghi di Avigliana. L’acqua era uno specchio grigio e dorato, solcato dale vele bianche dei pescatori.

(La Città delle Streghe)

Il “Monte” Cuneo di cui parlo nella Città delle Streghe è in realtà una piccola altura che si affaccia sui laghi di Avigliana con un dislivello di forse 400 metri. Coperto di boschi, il “Mun Cüni” ha raccolto nel tempo storie sinistre di stregoneria e mistero. Ma come parlavano, quando parlavano di Masche, i miei compaesani dell’epoca? e cosa facevano per cercare di difendersi da loro?
Quando la Masca faceva un “inciarmo” (sortilegio) su qualcuno si diceva che la vittima era stata “ammascata”. A volte le sue magie si limitavano a piccoli dispetti o burle (“drolerìe”), altre volte diventavano più pericolose. C’erano rituali per guarire dai malefici (“Bissere”) e rituali per neutralizzare le fatture (“Smentìe”).
Vediamo qualcuno di questi rituali.
Rametti di legno inchiodati a forma di croce sulla porta tenevano a distanza le entità maligne. Lo stesso effetto si otteneva facendo filare a una vergine un filo di canapa, e circondando la casa con quel filo.
Arroventare le catene e batterle con un bastone aveva il potere di stanare una strega e di farla scappare. Per distrarla, bisognava far cadere per terra dei granelli di sale fino. Per impedirle di avvelenare l’acqua degli abbeveratoi, vi si dovevano gettare tre foglie di ulivo e uno spruzzo di acqua benedetta.
I Val di Susa erano così abituati ad affrontare le Masche da avere un armamentario di formule magiche che avrebbero dovuto funzionare da esorcismo. Spesso alle formule si accompagnavano altri riti (bollire gli oggetti maledetti, oppure delle erbe benefiche come la malva). Curioso, infine, il rimedio per evitare che il burro venisse maledetto: lo si faceva dal lunedì al giovedì, non il venerdì e il sabato perché sono giorni di Sabba. Per non sbagliarsi, infine, si aggiungeva un po’ di sale…