Buongiorno, cari lettori, e benvenuti in questa nuova recensione! Oggi sono qui per parlare di un libro recentemente letto e che ho adorato. Si tratta de La città delle streghe, di Luca Buggio, edito da La Corte Editore.
Se ricordate qualche mese fa pubblicai un’altra recensione di un libro edito da questa CE, e se tutto va bene e riuscirò a smaltire un po’ di letture che già ho nei prossimi mesi provvederò ad analizzare altri romanzi da loro pubblicati, semplicemente perché la maggior parte dei romanzi editi da loro hanno una trama che è assai di mio gusto.

Ma ora parliamo di La città delle streghe.
La storia è ambientata fra il 1703 e il 1705, principalmente a Torino, e ha come protagonisti indiscussi due personaggi che non potrebbero essere più diversi, Laura e Gustìn. Lei è una diciassettenne molto credente, che con la madre e il padre adottivo si trova a dover lasciare la propria casa a Villafranca per rifugiarsi a Torino, dato che la guerra è in arrivo. Lui invece, trentenne, è una spia del Duca, con un caratteraccio assai burbero e il cui lavoro consiste in missioni spesso segrete per assicurare la vincita di Torino contro i francesi.
Per tutta la durata del libro ci troviamo quindi davanti a due PoV ben distinti e spesso alternati, in cui le loro storie procedono separatamente, ma andando tuttavia a creare uno schema complesso che solo verso la fine si è in grado di comprendere appieno.

Quando ho iniziato il libro, devo ammetterlo, non mi aspettavo che potesse essere una lettura così particolare. La trama era bella, sì, e interessante, ma ero convinta che gli eventi avrebbero seguito un andamento ben preciso, in cui Laura e Gustìn si sarebbero incontrati, avrebbero forse stretto amicizia, uno dei due sarebbe entrato poi in contatto con l’Uomo del Crocicchio e che ci sarebbero state molte streghe a metter i bastoni fra le ruote ai protagonisti… mi sbagliavo.

Procedendo con la lettura questa idea iniziale che avevo su ciò che sarebbe successo è andata via via a sfumarsi, marcando quel senso di originalità che invece permea le pagine. Sono rimasta stupita nel vedere una quantità esigua di streghe, e la sola comparsa dell’Uomo del Crocicchio, senza che egli facesse davvero qualcosa.

Questi infatti sono forse gli unici appunti che potrei muovere, perché pensandoci su a mente lucida è parso leggermente incoerente che:

  • il libro si chiami La città delle streghe ma di streghe ce ne siano ben poche e che venga insito il dubbio nel lettore che non siano poi molto reali;
  • tutti mettono in allerta Laura dall’Uomo del Crocicchio, ma questo antagonista non fa molto per tutta la durata del libro, è solo una presenza che ogni tanto spaventa Laura.

La mia idea di lettrice (se mi sbaglio, Luca, correggimi) è che questo distaccamento sia stato fatto di proposito, per far introdurre lentamente i lettori nel mondo del romanzo e insinuare il loro il dubbio che in realtà queste creature di cui si parla non siano così presenti e pericolose come vengono dipinte, per poi invece portare a galla ciò che si nasconde nel buio nel secondo libro della trilogia. Questa idea è rafforzata dall’epilogo finale, giunto come assoluto plot twist, che apre le porte a nuovi pericoli per i nostri protagonisti.

Al contempo, sono convinta che il titolo voglia essere quasi una caricatura di ciò che accade nel libro: tutti sono convinti che l’Assassino del Coltello sia l’Uomo del Crocicchio, aiutato dalle sue streghe, e che la città di notte diventi sede di terribili pericoli, e quando Gustìn prova quale sia il vero colpevole e alla fine scopriamo quali sotterfugi siano stati ideati dal vero antagonista ecco che il titolo diventa quasi una “battuta”, riferita più alle credenze del popolino che all’effettiva realtà.
Poi non so se mi sbaglio, queste sono state le mie conclusioni.

L’unica falla che ho trovato è quella che già ho segnalato all’autore, riguardante un’incongruenza sul personaggio di Alberto, quando prima viene sostenuto che lui non dia importanza alle cotte delle ragazze per lui e poi quella stessa affermazione viene smentita dal suo comportamento.

Al contempo, però, ci sono due piccole cose che non ho capito:

  • quale nesso ha il prologo riguardante l’adolescenza della madre di Laura con la storia?
  • il saponaio Bruno è quel Bruno? Si intuisce ma non viene specificato.

Parlando di originalità, essa c’è, lo sostengo senza remore, riaffermata dalle scelte che l’autore ha fatto all’interno dell’opera per far andare le cose in un certo modo. Ad esempio, come già accennato, io ho adorato il fatto che Gustìn e Laura non vengano mai davvero in contatto ma si trovino spesso l’uno accanto all’altra, senza saperlo. È stato un tocco di classe, che mantiene viva l’attenzione del lettore – che spera prima o poi i due si conoscano. Solo alla fine, infatti, abbiamo un indizio che nel secondo molto probabilmente i due si troveranno spalla a spalla, e io sinceramente non vedo l’ora di leggerlo. Sarebbe esilarante vederli discutere sull’esistenza più o meno veritiera di Dio e dell’Uomo del Crocicchio.

È stata un’altra cosa che ho apprezzato tanto, invece, il fatto che Gustìn abbia la propria vita, le proprie relazioni, indipendentemente da Laura. Quando ho cominciato il libro ero convinta che i due si sarebbero incontrati e che fra loro sarebbe nato qualcosa, e quando invece ho scoperto che così non era sono stata da una parte sollevata – sarebbe stato un po’ bieco – e da una parte delusa. Non riesco a immaginare che intenzioni abbia l’autore sul come far evolvere il rapporto fra i due protagonisti, e penso che questo meriti tanto di cappello, perché significa che l’immaginazione e l’inventiva di chi ha scritto c’è e viene pienamente percepita.

La narrazione è fluida e la comprensione del testo per nulla difficile, solo in alcune parti ci sono stati dei passaggi improvvisi che mi hanno costretta a tornare indietro e rileggere. L’unico appunto che potrei fare, infatti, è che tendenzialmente alcune frasi che potrebbero essere scritte nello stesso paragrafo vengono invece separate con un punto e a capo, ma non è assolutamente nulla di grave né qualcosa che faccia percepire fastidio nella lettura.

Le descrizioni sono buone, soprattutto per quanto riguarda i luoghi (ho avuto i brividi, nelle parti ambientate sul monte in cerca della masca), ma avrei voluto si soffermassero un po’ di più sui personaggi, che invece vengono descritti in modo molto minore.
I dialoghi sono perfetti, il modo in cui i personaggi si esprimono l’ho trovato pienamente coerente con il tempo, e non c’è un singolo dialogo che abbia trovato fuori luogo o senza senso nel contesto.
Apprezzabile anche la scelta di usare il passato remoto in terza persona, credo che la prima non avrebbe reso appieno il senso di completezza a 360° delle ambientazioni e degli eventi.

La caratterizzazione è, tuttavia, la parte che più ho preferito.

L’autore è stato più che abile nel far evolvere il personaggio di Laura. Dovete sapere che inizialmente io la odiavo, non riuscivo davvero a sopportarla, con quel suo comportamento assai immaturo… ma Buggio è stato in grado di farla effettivamente evolvere, dopo il punto cruciale dell’attacco dei briganti durante il viaggio, e sono arrivata alla fine del libro provando un senso di simpatia per lei, sperando che non le accadesse nulla di male.

Al contrario, Gustìn l’ho adorato dal primo istante, ha quel caratteraccio burbero e sarcastico che non può non piacermi.
I personaggi secondari sono anch’essi – seppure non gli si dia tantissimo spazio – ben caratterizzati, hanno più l’aspetto di persone vere che di creature su carta, e questo penso sia uno dei punti più importanti, in un libro. Mi è piaciuto tantissimo il personaggio di Felice, così come quello di Tommaso, e ho sentito un senso di dispiacere per tutte le sventure capitate al povero Fioreste.

Insomma, lo spessore c’è, senza dubbio, è forse una delle parti che più colpiscono del romanzo, e chi legge non può non immedesimarsi con almeno un personaggio, provando simpatia per uno o odio per un altro.
Voglio pertanto fare i complimenti all’autore per essere stato capace di non cadere nello scontato o nelle incongruenze, non sempre è facile, e qui questo problema è pressoché inesistente (tranne per Alberto, ma tanto Alberto è una spina nel fianco quindi non ci soffermiamo più di tanto).

Lo stile è molto buono, non troppo articolato, semplice, ma che colpisce. Penso sia stato anche il modo in cui è scritto il libro, con quella suspense sempre presente ad aleggiare sulle pagine, ad avermi spinto a finire di leggere in due soli giorni.
Sono presenti degli errori, soprattutto verso la fine, ma non sono nulla di grave, per lo più dovuti a una digitazione errata.

In sintesi, quindi, questo è un libro che vale? Assolutamente sì. La trama è originale, gli eventi sono ben spiegati, di falle praticamente non ce ne sono e l’accuratezza storica è la ciliegina sulla torta. Senza contare i personaggi, con cui ho riso e – a tratti – ho temuto per la loro incolumità.
Il costo è di 16,90 e penso sia più che appropriato per un libro di 386 pagine con una tale attenzione nei contenuti.

Pertanto: lo consiglio? Sì. Assolutamente. Se vi piace la storia condita con un po’ di paranormale e quel giusto senso di thriller questo libro fa al caso vostro. Non è una lettura pesante ma al contempo non è neppure superficiale, è esattamente a metà, come giusto sia.

E niente, ho finito.
Noi ci vediamo alla prossima recensione, con un cartaceo proveniente direttamente da Wattpad.
Buon sabato e… occhio all’Uomo del Crocicchio!

(Valeria)

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La città delle streghe di Luca Buggio