Il 26 luglio, festa di Sant’Anna, cadono ben 12 bombe sulla Città Vecchia. Vengono colpiti, tra le tante case, il palazzo del Conte di Verrua (nell’immagine in testa al post, tratta da wikipedia) e il collegio dei Gesuiti.

I francesi posizionano otto cannoniere contro la Cittadella, e intanto lavorano sottoterra avvicinandosi sempre più alle gallerie del sistema di difesa. I minatori sabaudi sentono costantemente il suono dei picconi rimbombare nelle tenebre attorno a loro: ci si prepara a respingerli caricando un fornello di mina.

Il 27 una nuova batteria di 8 cannoni prende a bersagliare le difese, ma i difensori non stanno a guardare: l’artiglieria della Cittadella colpisce un magazzino di polvere da sparo e munizioni, che esplode fragorosamente.

L’evento più rilevante di giornata è l’arrivo di un messaggero del Duca di Savoia, che comunica agli alti comandi una buonissima notizia: il principe Eugenio si sta avvicinando ai confini del Ducato di Savoia. Lo conferma il fatto che i francesi hanno abbandonato le loro posizioni a Ceva e Mondovì in maniera così precipitosa da lasciarsi indietro 6 cannoni.

In città la Congregazione si preoccupa della distribuzione di cibo ai bisognosi: “mezza libra di pane composto di barbariato al giorno per caduna bocca per un mese, cominciando il primo dell’instante mese d’agosto e di farlo distribuire settimanamente dalli signori Rettori dell’Hospedale della Carità, quali già ne fano distribuire et sono pratici, et informati”
In questo caso è di prezioso aiuto il censimento fatto sugli abitanti della città nel 1705: “un libro per alfabetto, cominciando per i cognomi, con aggionta de’ nomi proprij, parochia, isola, casa di loro respettiva habitatione, della professione, e del numero delle boche”. L’elemosina viene fatta “in suffragio dell’anime del Purgatorio, e particolarmente per gli Ufficiali, e soldati
morti, e che morirano in ocasione dell’assedio di questa Città”.

Ancora la Congregazione decide di affiancare al medico Destefanis (uno dei quattro dottori stipendiati dalla città), il figlio in qualità di assistente: l’enorme numero di feriti provocati dall’assedio, uniti all’età avanzata, impediscono infatti al dottore di assolvere adeguatamente al suo compito.

Non va meglio ai medici francesi, che oltretutto sono esposti ai rischi del trovarsi in prima linea. Secondo le cronache, il chirurgo maggiore è un certo monsieur Riotor, che guida uno staff di infermieri e perfino di speziali, incaricati questi ultimi di preparare linimenti per le ferite lievi. Per gli arti colpiti gravemente, il rimedio più frequente dell’epoca è quasi sempre l’amputazione, eseguita nella maniera più rapida possibile per accorciare le sofferenze del paziente: come anestesia, qualche sorso di grappa

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  «Olio, uova e trementina» spiegò Rossotto, senza smettere di spalmare. «Sono i progressi dell’arte medica: pensate che ancora vent’anni fa curavano le ferite d’arma da fuoco versandoci sopra olio bollente o metallo fuso.»
«Non c’era da stupirsi se ne ammazzavano più i dottori che i fucili» osservò Gustìn.

(La Città delle Streghe)