Laura aveva imparato a orientarsi e a riconoscere la via più veloce e più sicura evitando la Città Vecchia. Sapeva dove alloggiavano sarte inoffensive, domestici educati o ambulanti disposti a vendere a metà prezzo le merci del giorno prima. Stava lontana dai luoghi frequentati da giocatori d’azzardo, ricettatori e prostitute. Ignorava i fannulloni che dai tavoli delle osterie fischiavano al suo passaggio e la invitavano a sedersi con loro.
Non aveva tempo da perdere.

A Fioreste servivano vinacce da distillare, alcool di buona qualità… e tutto il resto.

In Piazza delle Erbe c’erano fiori, menta, rosmarino fresco, salvia, semi d’anice e cumino. Davanti alla chiesa di San Tommaso si teneva un mercato settimanale con prodotti che arrivavano dalla Liguria: agrumi, pesci di mare e olio d’oliva, indispensabile per l’enfleurage a freddo.

Il grasso, di porco o di bue, doveva essere scelto bene perché era un ingrediente fondamentale per la macerazione, e se aveva un odore troppo forte poteva guastare il profumo: il mattatoio si trovava vicino ai mulini di Borgo Dora.

In una bottega in via Dora Grossa si potevano comprare boccette a buon prezzo. In via degli Argentieri un mastro vetraio ne produceva di bellissime, ma molto care: a lui si sarebbero rivolti quando gli affari fossero stati più floridi.

(La Città delle Streghe)

Assicurare cibo in abbondanza e a poco prezzo era una delle priorità per i governanti di Vittorio Amedeo II e dei suoi collaboratori al governo di Torino: era infatti la migliore garanzia per mantenere l’ordine pubblico.

All’epoca il Piemonte produceva cereali, vino e allevava bestiame in misura superiore alle necessità della sua popolazione, quindi il problema non era tanto assicurare la quantità, quanto il suo costo.

La normativa annonaria si concentrava innanzitutto su grano e pane, poi su pasta, carne, formaggi e latte, vino, frutta e verdura, ma anche su legna e carbone. I luoghi deputati al commercio di questi generi erano i mercati cittadini, sui quali vigevano severi controlli per evitare innalzamenti di prezzi o vendita di merci avariate o di scarsa qualità.

Per evitare che si creassero intermediari tra produttori e consumatori il mercato era aperto fino a mezzogiorno solo ai privati cittadini, dopo di che (quando veniva tolta la banderuola) potevano accedere anche i bottegai (che offrivano il vantaggio di rendere le merci disponibili anche nei giorni non di mercato).

Dalla metà del Seicento i mercati acquisirono una caratteristica di specificità sulle merci vendute. Per comodità ogni piazza avrebbe venduto un po’ di tutto, ma in linea di massima chi voleva comprare il vino doveva andare in piazza Carlina, i cereali in Piazza delle Armi (San Carlo), frutta e verdura in Piazza delle Erbe (Palazzo di Città) e nella piazza “della frutta” davanti alle Porte di Palazzo, polli e selvaggina di fronte al Duomo, olio d’oliva e agrumi davanti a San Rocco nell’osteria del Gamellotto, legna e carbone nello spiazzo davanti alla Cittadella.

In ogni area si poteva entrare solo da una certa porta e seguendo un percorso che teneva conto sia delle merci che venivano trasportate sia dei carri che le trasportavano. Per evitare che i carri congestionassero il traffico, passare da una parte all’altra della città era possibile solo girando attorno alle mura. Inoltre non si potevano consegnare merci a domicilio prima della fine dei mercati. E per entrare nella intricata e strettissima Città Vecchia (quella che oggi corrisponde al Quadrilatero) occorreva utilizzare carri piccoli, carretti e carriole.

Insomma, le misure antitraffico erano già note allora!

(il quadro è di Michele Graneri, le cui opere sono di grande aiuto per provare a immaginare la Torino dell’epoca!)