La fine del Seicento significò per il Ducato di Savoia un periodo di grande tensione militare. Nelle guerre che Vittorio Amedeo II combatté contro la Francia, prima tra il 1690 e il 1696, poi tra il 1703 e il 1713, le armate d’Oltralpe invasero più volte le terre piemontesi mettendole a ferro e fuoco.

A Torino il Duca dovette affrontare anche non poche difficoltà con la leva della milizia civica che, ricordo, era un corpo militare ausiliario. Secondo le cronache pare infatti che i torinesi non fossero entusiasti di servire in un incarico rischioso, mal pagato, e che distoglieva dal proprio lavoro principale. C’era chi preferiva pagare una multa, o rivendicare esenzioni immotivate, o addirittura abbandonare la città.
A questo problema annoso si aggiunse, nel 1705, la necessità di avere sotto controllo le bocche da sfamare, gli uomini arruolabili e quelli in grado di essere utili allo sforzo bellico, in vista dell’assedio incombente. Ecco perché il Duca ordinò al suo ministro delle Finanze, il Conte Gropello, un censimento della popolazione, che ci è pervenuto quasi interamente.

Nel 1705, a Torino vivevano quasi 42000 persone, divise nelle 13 parrocchie e nei 133 cantoni (o isole), ciascuno dei quali identificato dal nome di un Santo. L’area della Città Vecchia (quella che corrisponde grosso modo all’odierno quadrilatero) era sovraffollata e caratterizzata dalla presenza di mercati e botteghe di ogni genere. Al contrario, la Città Nuova (costruita attorno all’attuale via Roma) era caratterizzata da grandi palazzi e lussuosi giardini, ovviamente costruiti per l’élite cittadina. Il quartiere attorno a via di Po, di più recente costruzione, era abitata dai torinesi più poveri nelle isole più vicine alle mura, mentre le vie più centrali ospitavano le case di ricchi borghesi e i laboratori di artigiani di alto livello (argentieri, ebanisti, tessitori di arazzi).

Dalle stime fatte da uno studio del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino su un campione significativo del censimento, pare che il 50% dei torinesi del 1705 fosse sotto i 30 anni, e che moltissimi abitanti non fossero nati in città, ma venissero da fuori. Gli “immigrati” dell’epoca erano per lo più maschi e tra i 20 e i 60 anni, venuti in città a cercare lavoro e a mettere su famiglia. Provenivano dal nord ovest e dal sud del Piemonte, ma anche dalla Savoia, da Nizza e dalla Liguria: c’erano vere e proprie comunità locali, come quelle di Biella (che forniva muratori e falegnami), Mondovì, Lanzo e Viù (da cui arrivavano servi e facchini).

Sempre grazie al censimento siamo in grado di capire quali erano i lavori più diffusi nella Torino di inizio 1700 e com’erano ripartiti tra i torinesi di nascita e quelli che erano venuti in città per cercare di lavoro. I primi si contendevano le attività legate alla tessitura, alla sartoria, al commercio dei libri, nonché a quelle legate alla gestione burocratica del ducato: avvocati, impiegati, notai. Gli immigrati si occupavano dei mestieri manuali più umili: servi e domestici, facchini, panettieri, calzolai, muratori e falegnami. Questi dati si riferiscono alla popolazione maschile, compilata con più attenzione nel censimento a causa delle evidenti implicazioni militari e di un possibile arruolamento. Non mancano, tuttavia, indicazioni sul lavoro femminile: innanzitutto come domestiche, ma anche come mercantesse, lavandaie, sarte, locandieri, tessitrici e merciaie.

Dal censimento appare chiara la vocazione della Torino di inizio 1700 come capitale del Ducato, con un imponente apparato burocratico fatto di funzionari, magistrati e nobili ciascuno dei quali dà lavoro a uno stuolo di servi e domestici. Ecco poi rappresentati tutti quei mestieri necessari a consentire alla nobiltà di esprimere il suo status sociale: dagli artigiani di alto livello ai sarti di lusso. Infine ci sono le produzioni manifatturiere, tra cui spicca quella della seta. Questa gran quantità di famiglie messe al servizio di quelle più ricche e nobili richiede a sua volta di essere vestita e sfamata, quindi ecco il proliferare di botteghe, esercizi commerciali, venditori di ambulanti.
A tutto questo quadro va aggiunto, non dimentichiamo, quello che si riferisce al territorio fuori dalle mura. Borgo Moschino in riva al Po e Borgo del Balòn in riva alla Dora, ma anche l’aperta campagna con le sue cascine e i campi coltivati, e i boschi, che forniscono approvvigionamenti di cibo, fieno, legna, materiali edilizi e bestiame.

Avere “sotto mano” maestranze capaci di sopperire a ogni genere di attività lavorative è stata probabilmente una delle ragioni che hanno portato alla vittoria dell’assedio del 1706, permettendo al Duca di Savoia di avere sotto mano uomini e mezzi per effettuare la costruzione, e poi la riparazione, delle imponenti opere militari che hanno rafforzato il sistema difensivo della città rendendola praticamente imprendibile.