Luca Buggio, torinese doc, inizia a scrivere quando è ancora piccolo. Se il finale di un film non lo convince, è subito pronto a prendere la penna e a riscriverlo da cima a fondo. Poi la vita, si sa, ci allontana dai nostri sogni fino al 2009, quando Buggio pubblica finalmente il suo primo romanzo. Segue una trilogia di romanzi storici ambientati nella Torino del Settecento e pubblicati tra 2017 e 2019, così come tanti spettacoli teatrali portati in scena con la sua “Compagnia dei saltapasti”. Ed è proprio su questa trilogia che abbiamo voluto intervistare Luca per voi.

Luca Buggio prima di essere scrittore è ingegnere. La cosa vanta precedenti illustri, uno per tutti: Luciano de Crescenzo. Quanto è difficile passare dall’analisi matematica ai piaceri della scrittura?
Difficile come passare dal dovere al piacere. Tengo molto distinta la mia vita lavorativa da quella extra-lavorativa.

Come mai la scelta del romanzo storico per la tua trilogia? La voglia di raccontare la Torino del Settecento viene prima della trama vera e propria o ne è una conseguenza?
I protagonisti e il loro intreccio mi sono venuti in mente per primi e, per parecchio tempo, sono rimasti nella mia testa senza una casa che li accogliesse. In occasione delle ricorrenze legate al tricentenario dell’assedio di Torino ho cominciato a studiare un evento che conoscevo pochissimo, scoprendo una vicenda che mi ha entusiasmato: in quel momento ho deciso che Laura e Gustìn si sarebbero incontrati nella Torino del 1706. Si tratta infatti di un luogo e di un momento adattissimi alla storia che avevo in mente. Ci troviamo a cavallo tra un’epoca culturalmente legata alla superstizione – con tanto di roghi alle streghe – e l’avvento dell’Illuminismo: questo rende plausibile la coesistenza di un modo di pensare più “fideistico” come quello di Laura e la fredda razionalità di Gustìn. L’assedio di Torino, inoltre, fu costellato di episodi che i cronisti dell’epoca lessero come sovrannaturali e che si potevano ben collocare nella scacchiera che volevo costruire con la mia narrazione.

Ci sono autori o romanzi ai quali hai guardato con attenzione prima di iniziare a scrivere? O che consigli ai tuoi lettori ai quali è piaciuta la tua trilogia?
I romanzi storici sono i miei preferiti da sempre. Se dovessi portare con me un libro nella classica isola deserta, sarei indeciso tra Il conte di Montecristo di Dumas o I miserabili di Hugo. Da aspirante autore, cercando di imparare da quelli bravi, ma in primo luogo da lettore, ho una predilezione per i romanzi di Carlos Ruiz Zafón, un misto di thriller e sovrannaturale in un’ambientazione storica accurata.

Il fascino del mistero, l’esoterico sono una parte significativa del Buggio autore, ma quanto lo sono anche del Buggio uomo?
Sono molto affascinato da ciò che non si può giustificare solo con la ragione. Credo che il rapporto col sovrannaturale sia qualcosa di me che ho messo in Gustìn, nella sua evoluzione come personaggio durante la storia: osserva, non riesce a spiegarselo, vorrebbe spiegarselo, gli piacerebbe crederci, e alla fine un po’ ci crede.

Oltre che autore di romanzi, ti occupi anche di teatro come direttore artistico e autore di alcune pièce. Quanto è diverso il processo creativo quando ci si approccia a due generi così diversi?
In realtà è molto simile. La mia passione teatrale è stata una scoperta arrivata molto dopo quella letteraria, ma è stata la prima a sbocciare. Inizialmente come attore, poi sempre più spesso come regista e autore dei testi della compagnia di cui sono tra i fondatori, ho potuto toccare con mano quali meccanismi funzionano per emozionare gli spettatori e quali invece sono meno efficaci. Nel corso degli anni mi sono formato professionalmente come regista, imparando e affinando tecniche che mi sono preziosissime anche quando scrivo: a teatro puoi mettere alla prova del pubblico sia la credibilità dei dialoghi che quella dei personaggi, e non hai margini di errore perché quando si va in scena “è buona la prima”.

Sul tuo blog c’è una sezione che si chiama “Storia e curiosità” in cui ripercorri e sveli i misteri della tua città, Torino, appunto. Se dovessi indicare il tuo posto del cuore quale sarebbe?
Il Santuario della Consolata. Ogni volta che ci vado mi sento avvolgere da una sensazione di serenità, di “sacro rispetto” che mi stringe la gola. Un posto che anche chi si fa guidare unicamente dalla ragione non può non pensare: “Se davvero esiste qualcosa di trascendente, qualcosa che può essere chiamato sacro o santo, quel qualcosa si trova qui”.

A cura di Salvatore Di Nuzzo

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Intervista a Luca Buggio