Per molti Torino è la capitale dei Bògia-nen, usando impropriamente (e immeritatamente!) un termine che invece arriva da un atto di eroismo per definirci come persone statiche, immobili, chiusa in se stesse.

Eppure Torino è stata, anche in passato, un modello di innovazione tecnologica… e pure sociale. Della salute dei poveri, nei secoli scorsi, si occupavano principalmente le istituzioni ecclestiastiche e filantropiche. Non tutti sanno, invece, che il primo servizio sanitario per i poveri a spese dello stato sabaudo risale al 1581.

Il 12 febbraio, per assistere “molti poveri infermi senza mezzi di sussistenza, i quali o morivano o pullulavano altri mali molto maligni”, il Comune mise sotto contratto un barbiere (eh sì, all’epoca i barbieri facevano i cerusici, oltre che occuparsi di barbe e capelli) dell’Ospedale di San Giovanni, per “far la cura e salassare li poveri bisognosi e senza mezzi”. Il 20 marzo dello stesso anno si raddoppiò la forza lavoro dedicata al servizio sanitario pagando 175 fiorini l’anno un tal Pietro Antonio Manasso.

Nel 1602 si nominò “medico dei poveri” il dottor Sebastiano Trave, e l’onorario salì a 45 scudi (uno scudo valeva 8 fiorini). Nel 1624 lo stipendio salì a 60 scudi. I medici dei poveri divennero due nel 1649, quattro nel 1675, quattro con quattro cerusici nel 1678. Nel 1748 i medici erano nove con uno stipendio di 296 lire all’anno, e i cerusici 11 , pagati 118,75 lire ciascuno. Era nata la mutua.

L’immagine ritrae il dipinto “il farmacista-cerusico” di Pietro Longhi