Mi arrivano molti comunicati stampa, sulle cose più disparate. In genere ignoro quelli sui libri altrimenti non ne esco più, gestendo il blog da sola (e poi si tratta quasi sempre di gialli e a me l’associazione Torino-noir inizia ad annoiare, oltre che a starmi stretta). Poi, un mese fa, l’ennesimo comunicato di un altro libro sulla Torino magica, La città delle streghe di Luca Buggio: la differenza che mi ha colpito è che il libro si svolgeva nel Settecento.

La storia mi ha appassionato sin da subito: la giovanissima Laura Chevalier lascia Nizza per trasferirsi a Torino con la famiglia, causa guerra imminente del Duca Vittorio Amedeo contro la Francia (siamo nell’imminenza del celebre assedio di Torino del 1706), ma la capitale del Ducato le riserva sorprese a volte amare ed è percorsa da una strana inquietudine: chi è l’Uomo del Crocicchio, che tutti temono? in città si muove Gustìn Graziadei, che fu promettente piccolo criminale ed è entrato nell’apparato dello Stato, uomo di fiducia del conte Gropello per compiere i lavori sporchi nel nome del Duca; intorno a loro una Torino straordinariamente vivace, non quella delle raffinate dimore sabaude, ma quella popolare e sanguigna di Borgo Dora, e una valle di Susa in cui, in attesa dell’invasione francese, si muovono briganti e valdesi (bello anche il riferimento a loro!), contadini e streghe. Mi sono piaciuti storia e stile di scrittura, cercare l’autore per parlarne è stato conseguente e questo è quello che mi ha raccontato Luca Buggio.

– Torinese, sei regista e attore di teatro, la scrittura è stata un approdo naturale, dalla tua esperienza teatrale?

La scrittura è una passione che coltivo da molto prima di quella per il teatro, ma ai metodi di lavoro che utilizzo come regista e attore attingo pesantemente quando si tratta di studiare e caratterizzare i miei personaggi. L’esperienza di palcoscenico, inoltre, mi facilita a scrivere dialoghi più verosimili.

– Cosa ti ha ispirato La città delle streghe?

L’intreccio, la storia e i personaggi principali mi ronzavano per la testa da molto tempo. Mi mancavano il luogo e il tempo dell’ambientazione. La mia fortuna è stata partecipare a una conferenza sull’assedio di Torino del 1706 durante le celebrazioni del tricentenario. Sapevo pochissimo di quell’epoca e fu una scoperta entusiasmante.

– Hai scelto di raccontare la Torino che si prepara all’assedio del 1706, una Torino popolare, che poco ha a che vedere con quella che i Savoia promuovevano nel Theatrum Sabaudiae. Mi piace che nelle tue descrizioni del Borgo Dora si sentono quasi gli odori. Cosa ti affascina e ti interessa della Torino di quel periodo, di cui in fondo, come dimostri nel libro, sappiamo pochissimo?

I primi anni del 1700 sono stati una chiave di volta per la storia di Torino. La guerra di successione spagnola avrebbe potuto significare l’affossamento della dinastia Savoia e il concreto rischio, per il Piemonte, di diventare una provincia francese. La vittoria invece ha fatto sì che il Duca Vittorio Amedeo abbia avuto, alla fine della guerra, il riconoscimento del titolo di re (di Sicilia, poi scambiata con la Sardegna). Sono state vere e proprie “sliding doors” che hanno cambiato il destino di Torino, del Piemonte e, per quanto sappiamo del Risorgimento, forse anche dell’Italia. Inoltre trovo affascinante il momento culturale che sta al confine tra due epoche. Nel Seicento si bruciavano le streghe, nel Settecento è arrivato l’Illuminismo. Si passa da un periodo di grande spiritualità e superstizione, a uno dove la ragione regna sovrana. Volendo raccontare una storia radicata nel contesto reale, ma dove parlo anche di eventi sovrannaturali, è stato fantastico farlo in questa “zona d’ombra” dove non si è più, ma non si è ancora.

– Torino e la Val di Susa sono, insieme a Gustìn e a Laura, grandi protagonisti del tuo libro; come hai fatto a ricostruire quell’epoca? E cosa ritrovi della Torino di allora nella Torino di oggi, se c’è qualcosa?
Ho studiato tantissimo su tutto quello che sono riuscito a trovare sulla storia e la geografia di Torino dell’epoca. Con l’aiuto dello stesso storico che andai ad ascoltare alla famosa conferenza sull’assedio, Piergiuseppe Menietti (che poi è diventato anche uno dei miei correttori di bozze e che approfitto per ringraziare anche da qui), sono andato in cerca di testi e mappe. La sovrapposizione tra la Torino di oggi e quella di allora in certi momenti è stata così avvolgente che mi capitava di fissare appuntamenti con gli amici dando il nome delle vie settecentesche!

– I protagonisti del libro non si incontrano praticamente mai, se non un momento, in piazza delle Erbe, e quasi di sfuggita. È una cosa curiosa perché si passa molto tempo a cercare di capire il legame possibile tra Gustìn e Laura, ma sono solo due vite nella stessa città. Perché questa scelta singolare?

Mi piaceva l’idea di focalizzare lo sguardo sulla città, che è la vera protagonista della storia: Torino, i suoi misteri e i suoi mostri. Laura e Gustìn hanno un legame forte, fortissimo, quasi “magico”. Questo lo si evince sin dal prologo, perché Laura viene concepita nell’esatto istante in cui Gustìn decide di dare una svolta alla sua vita. Man mano che scrivevo, i due personaggi hanno preso sempre più peso e consistenza, fino a comportarsi in modo diverso da come avevo inizialmente pensato. I due hanno “fatto le loro scelte” e la storia si è conclusa senza che si siano incontrati. Mi piaceva così, anche se quando mi sono proposto per la pubblicazione ho iniziato a pensare che forse l’idea sarebbe stata giudicata troppo azzardata. Alla fine credo che possa essere bello, anche per il lettore, affezionarsi a entrambi i personaggi separatamente, e giocare a immaginare cosa potrebbe succedere tra loro.

– Gustin e Laura: cosa ami di più delle loro personalità? Cosa hai proiettato di te stesso in loro due?

Di Laura mi piace il fatto che sia al tempo stesso forte e determinata, ma anche dolce e devota alla famiglia. Di Gustìn ammiro la capacità di cavarsela, il suo carattere burbero ma buono, la sua razionalità un po’ intransigente. Entrambi devono molto, più che a me stesso, a tre persone che mi sono molto care: mio fratello e mia mamma sono stati i modelli ispiratori, la mia compagna è stata l’occhio critico, la Musa che mi ha aiutato a rendere i protagonisti più veri e completi.

– Una delle cose che mi sono piaciute di più è che sì, si parla di magia, ma la si racconta più come una superstizione popolare, le si cerca un aspetto razionale. Ci sono i contadini che credono alle streghe, ci sono gli abitanti del Borgo Dora che temono l’Uomo del Crocicchio, ma c’è anche Gustìn, impaziente davanti ai loro racconti. È lui che rappresenta l’Illuminismo ormai imminente?

Sì, esatto. Gustìn è stato portato a essere una specie di “illuminista ante-litteram” dal suo vissuto che lo rende ostile non solo alla Chiesa, ma addirittura alla Fede. Nel suo modo di essere è una sorta di mosca bianca, visto che all’epoca la superstizione colpiva anche persone di una certa cultura. Si pensi al Conte Gropello, che fu davvero imbonito da un alchimista che si diceva in grado di trasformare il piombo in oro!

– Che rapporto hai tu con la magia e con i fenomeni soprannaturali?

Credo che la ragione non possa spiegare tutto. Non con le conoscenze attuali, per lo meno.

– Ho letto che La città delle streghe è il primo libro di una trilogia, puoi anticipare qualcosa di argomenti, personaggi e novità dei prossimi?

La Città delle Streghe risolve il principale conflitto che avevo sollevato nella storia, ma lascia aperti un po’ di interrogativi. Nel seguito del libro cercherò di dare qualche risposta… e di sollevare qualche altra domanda. E poi… non siete curiosi di leggere l’incontro tra Gustìn e Laura?

(Laura Cardia)

Qui è possibile leggere la recensione sul blog

Luca Buggio: ne La città delle streghe, la zona d’ombra di Torino, tra superstizione e illuminismo