Parlando della Torino nascosta non si ha che l’imbarazzo della scelta, specie quando si sconfina nel lato misterioso, magico ed esoterico: si va dai tunnel che un tempo collegavano le chiese e i palazzi della nobiltà, a quelli che da palazzo reale raggiungevano le residenze sabaude di Venaria e del Valentino. E poi si fa riferimento all’esistenza di antiche grotte depositarie di segreti esoterici, luoghi di Magia Bianca e Magia Nera, e così via.

Se vogliamo cercare un po’ di arrosto in tanto fumo, partiamo dal 9 avanti Cristo, a cui secondo le ipotesi più accreditate risale la fondazione di Augusta Taurinorum. Questa è una città che ha più di due millenni di storia, e basta immaginare che ogni volta che un edificio veniva ricostruito partiva dalle fondamenta di quello precedente, o che le strade venivano lastricate su quelle vecchie, per comprendere che la nuova Torino sorge letteralmente sulle vecchia Torino.

Possiamo farci un’idea significativa di questo concetto andando in piazza Castello e affacciandoci a guardare nel fossato di Palazzo Madama. Quello era il livello del suolo dell’epoca medievale! Si calcola che i resti della Torino romana siano a più di 10 metri di profondità sotto il livello della superficie della Torino contemporanea. Se pensiamo che tra noi e il nostro passato ci sono 10 metri di diverse epoche sepolte nel terreno, è probabile che da qualche parte ci sia qualche traccia non ancora scoperta. Non così tante, però: in passato si aveva l’abitudine di demolire i ruderi per recuperare i materiali di costruzione, fino a cancellare ogni traccia degli stessi. Così della antica Augusta Taurinorum abbiamo trovato per lo più resti che erano ‘sotterranei’ già all’epoca: qualche tratto dell’acquedotto e della fognatura romana, cripte dei templi pagani su cui sono nate le chiese cristiane, resti di case e di terme. Con l’eccezione, come sappiamo di due delle quattro porte (la Palatina e quella inglobata nel Palazzo Madama) e del teatro. Tutto il resto è stato letteralmente cancellato, compreso, pare, un vero e proprio anfiteatro, la cui posizione è solo fonte di ipotesi.

Di quale Torino nascosta si può allora parlare con una certa cognizione di causa? Di quella legata allo straordinario sviluppo delle difese sotterranee, iniziato sotto la guida di Emanuele Filiberto di Savoia. Come sappiamo Torino divenne capitale del Ducato di Savoia nel 1563. Il Duca fece costruire un’imponente opera di difesa nell’angolo sud ovest della città. Per farci un’idea ho provato a disegnarne i confini sulla Torino di oggi. Il quadrato giallo è il mastio della Cittadella, tra corso galileo Ferraris e via Cernaia, ed è l’unica cosa che rimane di un’opera che alla sua massima espansione arrivava fino all’altezza di corso Vittorio e Porta Susa.

La posizione della Cittadella nella Torino di oggi

La Cittadella fu completata nel 1577 ed era costruita adeguandosi alle più moderne strategie di guerra. Con l’avvento della polvere da sparo e delle artiglierie, era infatti cambiato il modo di conquistare una fortificazione, dunque anche di difenderla. A meno di riuscire a prendere gli assediati con la fame, tecnica sempre valida, gli assedianti dovevano posizionare i cannoni abbastanza vicino da tirare sulle mura e aprirvi una breccia attraverso cui lanciare l’attacco, e proteggerli dall’artiglieria nemica posizionandoli dentro le trincee. Nel mentre, compagnie di minatori scavavano gallerie per raggiungere da sotto le fortificazioni: puntellavano il cunicolo col legno poi davano fuoco alle travi per far crollare la galleria… e il tratto di mura sovrastante. Ecco dunque nascere i termini “guerra di mina” e “gallerie di mina”.

Oggi noi associamo alla ‘mina’ un significato esplosivo, ma questo termine esiste da prima della polvere da sparo: sappiamo che questa tecnica d’assedio era nota dai tempi degli antichi romani. Dobbiamo pensare alla mina e al minatore con l’accezione del verbo ‘minare’, ossia indebolire da sotto, rovinare in modo subdolo. Come ci si difendeva? Andiamo a vedere le difese ‘di sopra’ per meglio capire quelle ‘di sotto’.

plastico della Cittadella (Museo Pietro Micca)

La cittadella aveva la forma di un pentagono, corrispondente a cinque grossi bastioni uniti da tratti di mura larghe e basse. Poi c’erano delle fortificazioni a difesa del tratto di mura a collegamento dei bastioni chiamate mezzelune. Invisibili, sotto il livello del suolo, numerose gallerie scendevano a due livelli di profondità ramificandosi dalle fortificazioni verso l’esterno, come possiamo vedere da questa sezione delle difese, in cui a sinistra c’è la cittadella e a destra l’aperta campagna dove era accampato l’assediante.

la galleria ‘capitale bassa’ (in rosso)

Innanzitutto c’era (l’ho evidenziata in rosso) una galleria che si dirigeva verso la campagna scendendo fino a 13-14 metri (non oltre, perché più sotto c’è la falda acquifera). Da questa galleria, soprannominata “capitale bassa”, si staccavano diversi rami lunghi fino a 60 metri. Al termine di ogni camminamento la strada si apriva in diversi brevi rami che terminavano in nicchie in cui erano posizionati i “fornelli di mina”, ossia i punti in cui far scoppiare gli esplosivi.

la galleria ‘capitale alta’ (in blu)

Sopra ciascuna galleria capitale bassa correva una galleria parallela, detta “capitale alta”, alla profondità di circa 7 metri. L’ho evidenziata in blu. Mentre la capitale bassa partiva dall’interno della Cittadella, quella alta aveva il suo punto di partenza dal grande fossato, ma i difensori di Torino potevano comunque accedervi attraverso scale di collegamento in mattoni. Che ho disegnato in verde.

le scale di collegamento

Per non correre il rischio, non così improbabile, che il nemico potesse calare nel fossato e trovare la porta d’ingresso alla galleria, questa era protetta da robuste porte ferrate e sorvegliata dalla compagnia minatori. Il che non impedì a un drappello di granatieri francesi di penetrare nel sistema di difesa la notte del 29 agosto 1706 che decise il destino e la fama di Pietro Micca.

lo schema delle gallerie sotterranee

Questo labirinto sotterraneo di 14 km era chiamato di gallerie di ‘contromina’, contrapposto a quelle di mina scavate dagli assedianti. Aveva una funzione difensiva perché intercettava gli scavi nemici, ma anche offensiva. I minatori sabaudi erano in grado di riconoscere la posizione delle trincee e delle batterie dei cannoni e le gallerie venivano fatte esplodere sotto i piedi dei nemici.

le gallerie del museo Pietro Micca

A questo proposito i resoconti dell’epoca raccontano il particolare metodo con cui i minatori sceglievano il punto esatto per far scoppiare la mina. Appoggiavano dei fagioli secchi sulla superficie di un tamburo, osservandone i salti in corrispondenza delle cannonate. Quando i fagioli saltavano in posizione esattamente verticale, significava che si trovavano esattamente sotto i cannoni nemici.

Possiamo solo immaginare l’effetto devastante non solo su opere, attrezzature e soldati, ma anche sul morale dell’esercito francese. Condurre un assedio con il pensiero che da un momento all’altro, quando meno te l’aspetti, possa scoppiarti il mondo sotto i piedi non dev’essere un’esperienza rilassante…
Per concludere questa breve disquisizione sui sotterranei nascosti di Torino, non bisogna dimenticare che un analogo sistema di difesa, meno sofisticato di quello della Cittadella, era stato scavato anche sotto molti dei bastioni della città. Alcune gallerie servivano a mettere in collegamento l’interno delle mura con alcune fortificazioni esterne.

Quest’immagine trovata sul sito di Museo Torino rende bene l’idea di che le gallerie di contromina non erano una prerogativa della Cittadella, ma proteggevano Torino in tutte le direzioni (tranne che in corrispondenza del Po e della Dora, come si può vedere, rispettivamente in basso e a destra nell’immagine). La presenza di questi tunnel forse contribuisce a spiegare la diceria delle gallerie che passavano sotto tutta la città e collegavano le residenze reali.

il sistema di difese sotterranee di Torino

E’ acclarata, per esempio, la scoperta di una galleria sotto l’attuale via Saluzzo, che andava in direzione del castello del Valentino e che con tutta probabilità si fermava in corrispondenza di una fortificazione esterna, con l’obiettivo di collegarla alla città per far passare materiali e vettovaglie in caso di emergenza.

Forse qui arriviamo al confine tra realtà è fantasia, tra il molto che è stato già scoperto (e purtroppo non sempre così ben preservato) e quello che è ancora da scoprire ma che si configura in un quadro più che plausibile per una città con tanta storia come Torino.

Le immagini sono recuperate dal sito Museo Torino, del Museo Pietro Micca, e da alcuni testi un po’ datati sulla storia della città.