Allontaniamoci per un attimo da Torino e spostiamoci in ciò che resta dell’armata nemica

Il 7 settembre l’esercito agli ordini di La Feuillade si è sciolto come neve al sole. Possiamo solo immaginare il panico, la stanchezza e il terrore che si diffondevano letali come la morte che intanto scendeva su di loro per mano dei soldati imperiali e savoiardi.

L’organizzazione degli schieramenti di battaglia faceva sì che le prime file impedissero a quelle retrostanti di vedere quello che stava succedendo, e che gli ufficiali fossero o davanti a tutti per assicurarsi che la sequenza di fuoco fosse quella corretta (e quindi esponendosi più facilmente al tiro nemico) oppure nelle retrovie a mantenere l’ordine anche pungolando con le aste e le sciabole le schiene dei soldati meno convinti, quindi senza vedere cosa stava succedendo. E’ facile intuire come durante la battaglia di Torino i primi a cadere sono proprio gli ufficiali francesi: è il caso del maresciallo Marsin, colpito mortalmente a una coscia dopo che già il suo cavallo è stato abbattuto, e stava incitando i suoi uomini. Man mano che cadono gli ufficiali in prima fila si diffonde il panico tra i soldati, che in breve tempo si danno alla fuga disordinata o alla resa.

Mentre le prime file sono impegnate in battaglia, le retrovie abbandonano le trincee e cercano la fuga verso la collina oppure riparo nelle numerose cascine fortificate della zona. Attraversare il Po è facile per i reparti di cavalleria che possono guardarlo grazie alla secca estiva, mentre per la fanteria è più difficile e devono usare i ponti, che però sono ingombri di fuggitivi, feriti, attrezzature e cannoni che gli ufficiali non vorrebbero lasciare in mano ai Savoia. Man mano che i reggimenti abbandonano la loro posizione, tolgono la copertura ad altri reparti che si trovano esposti all’attacco nemico, un disastro totale e su tutta la linea.

Il fatto che la battaglia prenda una direzione chiara e inequivocabile nel giro di poche ore consente ai francesi di arrendersi senza paura. In un’epoca dove il diritto umanitario non è sancito da trattati e convenzioni, offrire la propria resa non costituisce garanzia che venga accettata… almeno finché le sorti del combattimento non sono chiare. Non è questo il caso, comunque.

La ritirata francese prende la strada di Pinerolo, una marcia forzata e resa difficile non solo dall’inseguimento delle truppe regolari del Duca, ma anche dalle imboscate dei partigiani. I morti aumentano, molti feriti vengono abbandonati per la strada. Non è il caso del Duca d’Orleans, che si è distinto per valore durante la battaglia ed è stato colpito all’anca e all’avambraccio: soffre terribilmente per le ferite che stanno andando in cancrena, e si teme per la sua vita. Riuscirà a sopravvivere e perfino a evitare l’amputazione, ma gli servirà più di un mese per essere in grado di riprendere il comando.

Da Pinerolo a Perosa a Fenestrelle, i sopravvissuti tornano finalmente in territorio francese. Il conto, alla fine dell’assedio, è impietoso per il Re Sole: 15 mila uomini tra morti, feriti e disertori.

L’immagine in cima al post è tratta da “la vera storia di Pietro Micca” del Corrierino dei Piccoli del 1969.