Il 16 giugno, abbiamo visto, la corte ha lasciato Torino con la Sindone, i gioielli della corona e i presidenti di Camera e Senato.

Oggi, 17 giugno, è il Duca in persona, Vittorio Amedeo II, a lasciare la città. Si porta dietro buona parte della sua cavalleria, per poterne sfruttare l’efficacia in campo aperto con operazioni di guerriglia che, finora, si sono mostrate molto utili. Lo scopo del Duca è in realtà più ampio: confida di costituire lui stesso un diversivo, attirando su di sé parte delle truppe assedianti. Non dimentichiamo che Re Sole ha ordinato, oltre alla conquista della città, la cattura del Duca che dev’essere condotto “in camicia” a Versailles.

Guerriglia, manovra diversiva, disturbo dei collegamenti nemici. E la speranza di ricongiungersi quanto prima con l’armata imperiale del Principe Eugenio, in marcia da Vienna per soccorrere Torino. Ecco ciò che muove Vittorio Amedeo II quando prende la difficilissima decisione di separarsi dal suo amato popolo.

Lascia Torino in buone mani: il maresciallo Von Daun ha il comando supremo della difesa, il Marchese di Caraglio è il governatore della città, il conte de la Roche d’Allery governatore della Cittadella. Fanno parte dello stato maggiore anche il conte Solaro della Margarita (capo dell’artiglieria), monsù Antonio Bertola (capo degli ingegneri militari, anche se era avvocato), il maresciallo di campo della Rocca a capo dei distaccamenti sulla collina, il generale Regal che guida la difesa della Porta Susina e il generale Saint Rémy che difende Valdocco. Sono scelte di assoluto buon senso. Saper mettere le persone giuste al posto giusto è una delle migliori doti del Duca di Savoia, che gli vengono riconosciute da tutti.

Nella cronaca dell’assedio, il Tarizzo riconosce addirittura un’ispirazione divina a guidare le scelte del Duca:
“[…] il Cielo non è mai scarso d’un buon lume alla mente dei Principi in certi frangenti, ove si tratta della liberazione e salute d’un Popolo. Quelle, che spesse volte somigliano orditure di fina politica, sono istruzioni, e movimenti della celeste Providenza.”

Mentre nella cronaca, più popolare e spiritosa, dell’Arpa Discordata si insiste sul sottolineare le doti degli uomini lasciati dal Duca a guidare Torino e difendere i torinesi.

“Il generale Daun con il suo coraggio,
con il buon cuore e la saviezza,
verso i Torinesi ed i suoi reparti
si comportava da buon padre,
disciplinando la milizia
con clemenza e giustizia.
Il signor Marchese di Caraglio,
in mezzo a tanti guai,
con mirabile provvidenza,
con buon ordine e pazienza,
dal fondo di Torino fino alla cima
si guadagnava la stima
quale soggetto imitante
dei suoi bravi predecessori.”

Anche il marchese Solaro assiste alla partenza del Duca.

“Egli uscì a cavallo dalla via di Po, brulincante di gente, e arrestandosi di tanto in tanto, a causa della folla, incoraggiava il popolo con i suoi sguardi, e le sue parole, assicurando che si allontanava dalla sua cara città solo per meglio soccorrerla. Era accompagnato dai Principi Amedeo di Carignano, ed Emanuele di Soissons, e da numerosi Ufficiali della sua Armata. Non appena raggiunse la sua cavalleria la spostò da Moncalieri per andare ad accamparsi, con essa, a Villastellone”.

Se veder partire la corte, ieri, ha destato qualche preoccupazione nei torinesi, la partenza del Duca provoca ben maggior timore, per non dire sconforto. Ancora il Tarizzo ce ne da ragguaglio, insieme alla tranquillità con cui Vittorio Amedeo lascia Torino, quasi sapesse di essere destinato alla vittoria.
“La risoluzione che prese Sua Altezza Reale di partirsene la mattina de’ 17 Giugno toccò troppo sul vivo il buon cuore de’ Torinesi nel gran timore, in cui erano, che avesse loro dato da mancar il tutto colla mancanza d’un solo; e pur Ella in questo duro frangente fece
comparire più che mai l’usata virtù del suo spirito imperturbabile in tutti i più sinistri eventi, mentre se ne uscì dalla Città come
se avesse dovuto fare una passeggiata per andar incontro alla Vittoria che veniva a gran passi a trovarlo”.

A margine di questo evento, il marchese di Caraglio ricorda ai torinesi un editto emanato dieci giorni fa, in cui si dice che:
“[…] s’è prohibito a chionque si sia d’accomprare, cambiare, ne permutare alcuna sorte d’Armi, ne Polveri, si in piccola che in grande quantità sotto qualsivoglia pretesto, sotto le pene nel medesimo Editto prescritte, e quando se ne sperava dal zelo de Cittadini l’esequtione, s’intende, che il medemo non venghi osservato, anzi venghino accomprate da Soldati non solo le Polveri, ma anche ogni
sorte di stromenti, cioè Pichi, Pale, o sia badili, Zappe, Piole, Falcette, e simili, si da terra che da taglio. Come pure Palle di Piombo, Assi e boscami. Perciò […] prohibiamo a chionque si sia nessuno eccettuato d’accomprar, cambiar, ne permutar sorte alcuna d’Armi, Polveri, Piombi, ne stromenti sudetti […] accordiamo a quelli che rileveranno li accompratori d’esse Armi, Polveri, […] oltre il premio delli due Scudi d’oro già portati dal sudetto Editto la metà delli scuti cinquanta che s’esigeranno dalli detti contraventori […].”

L’editto fa riferimento, in particolar modo, a una sorta di mercato nero delle palle di cannone che sono piovute a Torino. Tutto dev’essere consegnato ai mercanti Tenca e Resca, incaricati di ritirare bombe e frammenti all’Arsenale, pagandoli secondo il peso e la dimensione. La Torino sotto assedio è anche questo.

L’immagine in cima al post è di Mark Beerdom e raffigura un reggimento di cavalleria inglese durante la guerra di Successione Spagnola. Trovare dipinti analoghi dei nostri battaglioni sabaudi non è così immediato: in ogni caso, credo renda l’idea.