Un altro corno echeggiò, questa volta più vicino.
«Stanno arrivando» disse di nuovo il ragazzo.
Un drappello di soldati si avvicinava lungo il viale della villa abbandonata,
con le corti vesti rosse chiuse in vita da cinture di cuoio. Uno di loro
portava a tracolla una specie di grossa conchiglia. I famigerati micheletti,
abili nella guerra di montagna, mandati da La Feuillade a controllare la
collina chiudendo i passaggi e schiacciando la resistenza dei contadini.
«Gli parlo io» comandò Luigi. «Avvertite i sacerdoti.»
«Come se non lo sapessero» sentì dire alle sue spalle, mentre si avviava.
Forse i sacerdoti lo sapevano, anzi, lo sapevano quasi di sicuro. Ma se
non si erano ancora manifestati ci doveva essere una ragione, e non stava
agli adepti metterla in dubbio o fare domande.
«Ehi, tu!» tuonò uno dei micheletti. «Fermo dove sei!»
Gli altri puntarono su di lui le pistole. Più comode dei fucili, visto che
molti reggevano torce accese.
«Sono disarmato!» gridò Luigi, sollevando le mani sopra la testa.
«Fermo, ho detto!»
Luigi obbedì.
Quando i soldati si avvicinarono ne contò sette. Una ben misera minaccia
per il culto. Nessuna speranza per lui, se avesse voluto affrontarli.
«E tu chi sei, ragazzo? Il padrone della villa? Fai uscire chi c’è dentro!»
«Non c’è nessuno» ribatté Luigi. «Nella villa non vive più nessuno.
Guardate. Cade a pezzi.»
Al chiarore delle fiamme che bruciavano nel bosco sotto e intorno a
loro, Luigi vide il baluginare metallico delle pistole, delle daghe alle cinture,
dei corti fucili che chiamavano escopette. L’uniforme dell’uomo che
parlava si distingueva dalle mostrine più ricche e numerose. Non abbastanza
per appartenere a un ufficiale.
Dev’essere un sergente.
La mente di Luigi si mise in moto.
«Posso chiedere cos’avete intenzione di fare?»
«Non l’ha ancora capito» osservò qualcuno tra i micheletti, suscitando
un coro di risate. Il sergente ringhiò:
«Non si vede? Accendiamo qualche fuoco.»
Mentre gli ufficiali erano nobili, i graduati venivano dal popolo. Gente
abituata a guadagnarsi il pane con le unghie e con i denti. Più sensibile
forse alle lusinghe dell’oro. O a quelle del saccheggio.

(La Città dei Santi)

Il 2 di agosto gli scavi francesi si avvicinano alle palizzate del fossato davanti alla Cittadella, e inevitabilmente intercettano il sistema difensivo sotterraneo: nello specifico, un pozzo davanti al Bastione San Maurizio. Il loro tentativo di metterlo fuori uso costringe i minatori torinesi ad anticiparli facendo scoppiare una mina nella loro galleria in modo da produrre danni controllati, e specialmente chiudere l’accesso al nemico. E’ emozionante leggerlo con le parole del Tarizzo nel suo Ragguaglio sull’Assedio.

“(Il secondo giorno di agosto) continuò il nemico colla zappa sulla spianata fin a 15 passi avanti le pallizzate della contraguardia avanti la Cittadella, con qual travaglio venne anche ad un nostro pozzo di mina avanti il bastione San Maurizio, il quale ebbe principiato ad evacuare in profondità di alcune tese, e fece ivi fare un fornello per rovinare la nostra galleria, il che gli riuscì anche, ma perché noi l’ebbimo previsto così fecimo giocare anticipatamente un fornello nella mina capitale“.

La stanchezza di tante notti insonni comincia a farsi sentire sui difensori. Un granatiere muore asfissiato nella galleria capitale bassa del bastione San Maurizio: era addormentato in modo così profondo che i suoi compagni non sono riusciti a svegliarlo.

Anche sulla collina la situazione non permette un attimo di riposo né di distrazione. Secondo i disertori, alle truppe regolari si sono uniti i famigerati “micheletti“, un corpo di fanteria leggera d’origine catalana abile nel combattimento in zone di montagna, e temuto per la sua attitudine al saccheggio e alle violenze. Sono i Lanzichenecchi del 1700, e il Duca de La Feuillade li manda a combattere sulla collina torinese con l’obiettivo di chiudere tutti i passaggi attraverso cui gli assediati fanno arrivare rifornimenti in città.

Così Tarizzo scrive: “Nel principiare di Agosto col chiudersi delle strade al di là del Po mancò alla Città tutta quella abbondanza di viveri, onde s’erano appena sentiti que’ disaggi, che seco portano i lunghi assedi”.

L’immagine, tratta dal sito domestika.org, è un’opera di Lorena Loguén e raffigura un Micheletto.