Gustìn oltrepassò la cancellata e passò in un’altra galleria, illuminata dalla flebile luce di lanterne schermate, e dalla volta così bassa che per camminare doveva procedere ingobbito.
Comprese di trovarsi in una delle gallerie dove i minatori del Duca facevano scoppiare le mine che devastavano le trincee nemiche. Echi di scoppi e di moschetti, grida, sordi brontolii, giungevano da sopra la sua testa.
Il corridoio giunse a una biforcazione. Nemmeno tendendo le orecchie Gustìn riusciva a capire da dove arrivavano i rumori. Provò a procedere dritto, anche se non aveva idea se fosse la decisione giusta. La postura piegata in avanti cominciava a fargli dolere la schiena.
In fondo alla galleria c’erano alcuni soldati del reggimento minatori, altri con l’uniforme di fanteria, che si stavano radunando e portavano sacchi di terra.
Uno di loro, che aveva i galloni dorati da ufficiale, si accorse di Gustìn. Sotto i capelli appiccicati dal sudore, brillavano due occhi intelligenti.
«Voi che ci fate qui?»
«Lavoro per il conte Gropello» rispose Gustìn, tendendo il lasciapassare. «Sto inseguendo due spie.»
«Non è possibile! Come hanno fatto a superare i posti di guardia?»
«Non lo so. Non so nemmeno dove…»
L’ufficiale gli prese il documento accostandolo alla lanterna più vicina.
«Questa firma potrebbe essere di chiunque. Consideratevi agli arresti.»
«Cosa?»
«Se siete chi dite di essere, ci aiuterete a respingere l’assalto. Le vostre spie ormai hanno raggiunto i loro compagni più avanti.»
«Ci sono i francesi qui sotto?» Gustìn non ci aveva nemmeno pensato.
«Eh, sì» ringhiò l’altro, con un sorriso amaro. Gli fece cenno di salire su una scala di mattoni, seguendo gli altri minatori. Le scale erano strette e prive delle traversine di legno. Gustìn immaginò che i gradini fossero stati modificati in quel modo per rendere difficoltosa la discesa agli invasori.
Sopra c’era una galleria identica a quella che avevano appena lasciato. L’ufficiale fece sbarrare il cancello della scala, poi fissò Gustìn.
«Sono il capitano Bozzolino. Come vi chiamate?»
Era scritto sul lasciapassare, ma Gustìn non ritenne utile farglielo notare.
«Augusto Graziadei.»
«E lavorate per il conte.»
«Sì, signore.»
«Spero per voi che sia vero. Seguitemi.»

(La Città dell’Assedio)

Questo estratto, che prelude a uno dei colpi di scena più importanti del romanzo, è ambientato nelle gallerie sotterranee che si ramificavano sotto la Cittadella di Torino. Oggi, quelle gallerie sono parte integrante del Museo Pietro Micca, intitolato al famoso eroe che diede la vita difendendo la sua città durante l’assedio del 1706.

Ed è stato proprio al Museo Pietro Micca che questa sera ho presentato la Città dell’Assedio. Un evento che ha trovato risalto sui maggiori quotidiani locali, La Stampa e Repubblica, e di cui questa era la locandina.

Un evento riuscitissimo, grazie alla presenza di un pubblico nutrito, interessato e pieno di domande a cui è stato un piacere dare risposta. Al termine della presentazione, mentre firmavo autografi, ai partecipanti è stata data l’eccezionale opportunità di scoprire parte del patrimonio più prezioso del museo: le gallerie di mina e contromina che hanno fatto da scenario nel romanzo.

Vorrei ringraziare i partecipanti uno a uno, da quelli che sono venuti a sentirmi per la prima volta forse incuriositi dall’argomento del libro o dalla location evocativa, a quelli che hanno già letto “la città delle streghe” e aspettavano il seguito, a quelli che hanno già letto entrambi i libri, a quelli che sono già venuti ad ascoltarmi ad altre presentazioni. Sono emozionato, commosso, e felice.

Vorrei ringraziare le guide del museo, il signor Toscano e il generale Cravarezza, per la disponibilità, il supporto e il sostegno che mi hanno dato nell’organizzare questo evento sin dal nostro primo incontro di quest’autunno.

E naturalmente ringrazio il mio editore, Gianni, e tutto il suo staff, che non mancano mai di essermi accanto in questi momenti per me così importanti.

La sorpresa e il dono più grande l’ho ricevuto a fine serata: una targa che mi onora del titolo di “amico del museo Pietro Micca”. Inutile dire che finirà presto appeso a una parete di casa!