Gustìn si lasciò la conversazione alle spalle e si diresse verso il palazzo comunale, dove sapeva di essere atteso dall’uomo del conte Fontanella.

Conosceva fin troppo bene gli sbirri di Torino: anche se si fregiavano, a volte, del titolo di “cavalieri”, avevano poco da spartire con la nobiltà. Non erano damerini impomatati, non erano cresciuti con il paggio, lo stalliere e l’insegnante di scherma e poesia.

Erano ragazzoni duri come il loro mestiere, spesso nati nelle strade puzzolenti di Borgo Dora o del Moschino: se erano arrivati fino all’età per arruolarsi era perché sapevano sopravvivere al peggio, e conoscevano bene i criminali perché si erano nutriti dello stesso latte.

(La Città dell’Assedio)

Nella Città delle Streghe e nella Città dell’Assedio parlo spesso di sbirri al servizio del Vicario di Polizia. Queste figure, storicamente esistenti, alla fine del 1600 erano riconosciute col titolo di Cavalieri Politici e prima ancora come Cavalieri di Giustizia e Cavalieri di Virtù. Immagino che la gente comune e la malavita dell’epoca avesse ben altri nomignoli con cui chiamarli.

Sappiamo dalle fonti storiche che avevano l’incarico di ”provvedere ai poveri, reprimere i vagabondi e sorvegliare le persone sospette”, ma anche di “far pulire a spese proprie le piazze e le contrade”. I cavalieri erano otto e rispondevano agli ordini del Vicario di Polizia (il Conte di Fontanella, all’epoca di Laura e Gustìn).

Sappiamo infine che il vestiario e le armi erano a totale carico della città di Torino e che ricevevano uno stipendio di 144 lire all’anno. Per farsi un’idea del potere d’acquisto dell’epoca, basti pensare che una persona poteva considerarsi benestante se guadagnava una lira al giorno… ma la Madama Reale aveva un appannaggio di 400.000 lire all’anno). Insomma… a fare lo sbirro ci si poteva togliere qualche soddisfazione, ma non si diventava certo ricchi!

 

L’immagine (per la cui scarsa risoluzione mi scuso) è l’unica che sono riuscito a reperire, sul sito del Comune di Torino.