La storia di questa chiesa è legata quella dell’Ordine dei Minimi, fondato da San Francesco da Paola. I Frati Minimi vennero invitati a Torino nel 1623 da Vittorio Amedeo I di Savoia, per contrastare i movimenti eretici.

Questo ordine mendicante era famoso per il rigore della sua regola, che ai tre voti di povertà, obbedienza e castità ne univa un quarto, che prevedeva la rinuncia perpetua alla carne e ai suoi derivati, tranne che in caso di malattia.

I Savoia furono particolarmente generosi con i Frati Minimi: nel 1632 il Duca fece loro dono di un’area di terreno appena fuori dalle mura, lungo quella che allora era nota come ‘strada della calce’ perché conduceva al Po, dove gli operai andavano a prendere la sabbia per le costruzioni.

Nell’area fu inizialmente edificato un convento a cui fece seguito (nel 1633) la chiesa, grazie alle donazioni ricevute da Vittorio Amedeo I e dalla sua consorte Cristina di Francia. Dietro alla generosità dei sovrani c’è un voto fatto dalla coppia quando l’erede al trono tardava ad arrivare. Vittorio Amedeo e Cristina lasciarono la loro firma sulla facciata della chiesa dove può essere ammirata tuttora: uno stemma con la croce sabauda e i gigli di francia, i simboli delle due famiglie.

Quando ci fu l’ampliamento di Torino in direzione del fiume e la costruzione della Città Nuova, la presenza della chiesa fu determinante per l’inclinazione della strada (via Po, infatti, non procede rettilinea, ma inclinata rispetto all’asse a scacchiera dell’impianto cittadino). E’ da notare, tra l’altro, che la facciata di San Francesco da Paola non è coperta dai portici, fatto che costituisce l’unica eccezione sulla via.

Tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 la chiesa di San Francesco da Paola era tra le preferite non solo dai Savoia, ma anche dai principali cortigiani, come i Carron di San Tommaso e i Graneri della Roccia, che fecero a loro volta ingenti donazioni. E’ curiosa, all’interno della chiesa, la presenza di quadri che accostano il soggetto religioso al ritratto di corte: sono infatti raffigurati i figli di Vittorio Amedeo e Cristina al cospetto di San Francesco da Paola, 

Sempre all’interno, tra le varie cappelle impreziosite da marmi e stucchi dorati e intitolate alle più importanti famiglie dell’epoca, è interessante notare come la prima di sinistra fu voluta dalla duchessa Anna d’Orlèans, moglie di Vittorio Amedeo II. Anche in questo caso c’entra un voto, e anche in questo caso per la nascita dell’erede al trono. 

Durante l’assedio del 1706, davanti alla chiesa di San Francesco da Paola venne trasferito il mercato di piazza San Domenico, troppo vicino alla Cittadella e minacciato dalle bombe francesi. I padri minimi si prodigarono per dare la massima assistenza alla popolazione che, sfollata dai quartieri troppo vicini alla Cittadella, si era accampata sotto i portici di via Po. Sempre durante l’assedio, qui era esposta un’immagine della Santa Sindone.

E sempre durante l’assedio, è di fronte a questa chiesa che per la prima volta Gustìn sente parlare del misterioso omicidio della Consolata che darà inizio a una catena di eventi destinata a cambiare il suo modo di vedere… e di credere.

Gustìn prese il cavallo per la cavezza e si avviò lungo la via. Da bambino, i vecchi gli raccontavano di quando al posto degli eleganti palazzi con i portici c’erano campi coltivati, e la bella via di Po era un viottolo che
conduceva al porto sul fiume e che qualcuno chiamava “strada della
calce”. E ne era stata usata, di calce, per tirare su la Città Nuova.
Preferisco la Vecchia, si trovò a pensare.
Nella Città Vecchia sapeva dov’erano i bordelli più puliti e quelli più
a buon prezzo, le osterie in cui bere a credito e non rischiare di essere
rapinati, i vicoli dove si poteva dormire con la certezza di risvegliarsi il
giorno seguente. Ma adesso la Città Vecchia era sotto le bombe, e quando
l’assedio fosse finito niente sarebbe tornato come prima.
Davanti alla chiesa di San Francesco da Paola si stavano allestendo
le bancarelle di un mercato. Il sagrato di San Domenico era diventato
troppo pericoloso, così la Congregazione aveva ordinato agli ambulanti
di spostarsi lì. Con buona pace di nobili e ricchi borghesi che frequentavano
la chiesa, costretti a cantare le lodi accompagnati dai richiami
dei venditori di carne e formaggi.
In mezzo ai banchi, un ragazzino con una pila di fogli sotto il braccio
urlava: «Il misterioso omicidio della Consolata! Ferocia di un criminale
o di una belva?»
Alcuni passanti gli porgevano una moneta ricevendo in cambio un
foglio. (La Città dell’Assedio)



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