“La bottega del farmacista era tra il canale delle Ressie e il fiume Dora, a non più di cinque minuti di distanza. Una breve passeggiata alla luce del sole, ma le vie buie e deserte potevano far diventare quel tragitto un’eternità.

Le acque dei canali mormoravano nell’aria ammorbata dal tanfo delle concerie. Il vento faceva frusciare i rami degli alberi con un rumore sinistro, come i sussurri di un fantasma. Il gelo tagliente ghiacciava il respiro.
Il cielo nuvoloso era quasi nero, la luce arrivava dai pochi bracieri messi in mezzo alla strada e da qualche lume che illuminava le insegne delle taverne.

Laura si rimproverò per non essersi portata dietro una lanterna.
Hai fatto bene invece, si disse subito dopo, a camminare con una luce in mano attireresti l’attenzione di chi si nasconde nel buio.”

(La Città delle Streghe)

Parliamo di com’era illuminata (anzi di come non era illuminata) la Torino barocca.

Per un bel po’ i torinesi dovettero accontentarsi di poco o niente. In una città dove predominavano le abitazioni in legno, la minaccia del fuoco era molto concreta e gli incendi erano piuttosto comuni (il primo di cui si ha memoria scritta risale al I secolo dC: una scaramuccia tra legionari romani e soldati ausiliari della tribù germanica dei Batavi, alleati dei romani, degenerò un tantinello… e andò a fuoco mezza Torino.

Lo studioso Alberto Virigilio (1851-1913), nella sua “Torino e i torinesi” racconta che sino al XVIII secolo in città bisognava procedere «“lanternuti”, non essendoci per le strade che lumini e le lampade religiose di fronte alle sacre immagini in fregio stradale

Fino a tutto il 1600, dunque, l’illuminazione pubblica di Torino consisteva in poche lampade votive davanti a qualche santino al crocicchio delle strade, e lampade da passeggio. Queste ultime potevano già dirsi un’innovazione tecnologica di non poco rilievo.
Nasceva la Ville Lumière che diede lo spunto ad altre città. Tra cui Torino.

Alla fine del 1500 Carlo Emanuele I emanò un Ordine Pubblico: «Di nostra scienza, piena possanza et autorità, ordiniamo, comandiamo, et espressamente prohibiamo ad ogni persona di qualsivoglia stato, grado e condizione di andar di notte, dopo il suono della ritirata, per la presente città senza lume, e di portar lanterne false, lupini, o altri lumi contraffatti, sotto pena per cadun de’ capi di cento scudi o di tre tratti di corda all’arbitrio nostro, da darsi in pubblico a chi non potrà pagarli».

Qualche anno dopo la prima Madama Reale, Cristina di Francia, osservò che « …per la mola inclinazione degli uomini o la mescolanza delle persone mal disciplinate et la turbolenza dei tempi, si sentono ora più delitti, homicidi, furti et insolente. Massime di notte tempo, non si può più andare sicuri per la città… » Emanò un decreto con severe pene per i trasgressori. Le aggressioni notturne dovevano essere all’ordine del giorno. Anzi, della notte.

Mentre in Francia il Re ordinava che Parigi venisse illuminata a spese dello stato con una serie di fiaccole (ah, la Ville Lumiere!) a Torino si andava a dormire con le galline, e le uniche luci “pubbliche” si trovavano alle quattro porte della Città, in piazza Castello, in piazza delle Armi (San Carlo) e sulla torre comunale (oggi abbattuta, ma si trovava in via Garibaldi).

Sempre imitando le innovazioni francesi, i Duchi Carlo Emanuele I e Carlo Emanuele II ordinarono l’esposizione di lumi alle finestre delle case private. Inizialmente in occasione della festa e della vigilia della festa del martire San Maurizio. Poi, finalmente, anche per le strade. Era il 31 dicembre del 1675. Le fiaccole stradali erano costituite da una gabbia di metallo ricoperta di tela cerata, sostenuta da una pertica e appesa negli incroci delle vie principali. Nella gabbia c’era un contenitore di latta, in cui ardeva uno stoppino imbevuto di olio, o di sego. Facile immaginare la puzza e il fumo: lo smog torinese ha origini antiche.

Dal momento che le pertiche ostacolavano il traffico, specie nella Città Vecchia dalle strade strette e tortuose, le si sostituirono con sostegni di ferro inchiodati alle pareti delle case (pare che i proprietari non fossero affatto contenti di questa innovazione che deturpava la facciata delle loro abitazioni… soprattutto perché era a spese loro!)

Per la nascita del figlio di Vittorio Amedeo II, nel 1699, «tanto la Città che i cittadini hanno messo al Palazzo et alle finestre delle loro case, gran quantità di lumi in segno di allegrezza» (scrive lo storico Soleri). Per il ricevimento di Maria Ludovica di Savoia, nel 1701, lo stesso Soleri ci fa sapere che «Si accesero tremila lumi sulla facciata del Palazzo Pubblico così che si sparse un tal chiarore per la città che per più hore non vi ebbe in essa nessun dominio la notte con le sue ombre».

E una terza immensa luminaria si accese, dice ancora Soleri, in occasione dei festeggiamenti per la vittoria dell’assedio di Torino, nel 1706.

Dopo secoli di buio, anche Torino si avviava a diventare una piccola Ville Lumiere.

L’immagine è una riproduzione del dipinto “the night” (1736) del pittore William Hogarth