“Davanti alla chiesa di San Francesco da Paola si stavano allestendo le bancarelle di un mercato. Il sagrato di San Domenico era diventato troppo pericoloso, così la Congregazione aveva ordinato agli ambulanti di spostarsi lì. Con buona pace di nobili e ricchi borghesi che frequentavano la chiesa, costretti a cantare le lodi accompagnati dai richiami dei venditori di carne e formaggi. In mezzo ai banchi, un ragazzino con una pila di fogli sotto il braccio urlava: «Il misterioso omicidio della Consolata! Ferocia di un criminale o di una belva?»
Alcuni passanti gli porgevano una moneta ricevendo in cambio un foglio. Gustìn stava per fermarsi a comprare una copia del libello, ma vide qualcosa che glielo fece completamente dimenticare.
Sulla destra, i portici dell’Ospedale di Carità erano affollati da donne, anziani e bambini che attendevano la distribuzione giornaliera di pane e riso. La fila si aprì per far passare un gruppo di ragazzi giovanissimi che arrivava da piazza del Castello: avevano il viso e gli abiti sporchi di terra e fuliggine, i lineamenti stravolti di fatica, bendature macchiate di sangue, eppure trovavano la forza per cantare un inno sacro, con tanta passione che qualcuno si levò il cappello e si fece il cenno della croce. Gustìn era a conoscenza del fatto che i bimbi dell’Ospedale di Carità aiutavano i difensori della Cittadella strisciando nei cunicoli franati per raggiungere i feriti e portarli in salvo. Li ammirava e li compativa”.
(La Città dell’Assedio)

Il Palazzo degli Stemmi, attuale sede dell’Università, ha un passato importante e legato alle istituzioni benefiche della Torino barocca. Il Duca Vittorio Amedeo II, continuando l’opera di sua madre per ammodernare e abbellire architettonicamente Torino, nel 1682 donò uno dei quartieri nuovi dell’ultimo ampliamento fatto in direzione del Po al fine di costruirvi un’opera in cui accogliere i poveri. L’area della cosiddetta “isola di San Maurizio” era compresa tra via Po e corso San Maurizio e chiusa da via Montebello e via Rossini, e inizialmente era destinata alla posta dei cavalli.
I poveri erano molti, a Torino, con un numero che tendeva ad aumentare ogni volta che si scatenava una guerra nelle terre del Piemonte: le scorrerie degli eserciti e i soprusi delle numerose bande di briganti privavano i contadini di ogni sostentamento, costringendoli nella capitale a cercare la pietà delle istituzioni. Inevitabilmente, nella moltitudine dei poveri e dei mendicanti, spesso capitava che qualcuno decidesse di guadagnarsi da vivere in maniera non troppo lecita: rubando o prostituendosi.
Sin dal 1697 l’Ospedale inizia a funzionare a pieno regime, anche se i lavori di ingrandimento e modifica continuano per quasi mezzo secolo: man mano che gli edifici vengono completati iniziano ad accogliere ospiti, “mendicanti sani ed infermi”, come da volontà del Duca. Nel 1717 viene anche fondata la Farmacia degli Stemmi, che all’epoca aveva la qualifica di “spezieria” e che all’inizio operava solo per gli ospiti della struttura, aprendosi ai torinesi in seguito, nel 1732.
I ricoverati dell’Ospizio (zingari, vagabondi e perdigiorno di tutte le età, maschi e femmine) non se ne stavano certo con la mano in mano: erano infatti manodopera a basso costo per lavorazioni come filatura e tessitura, ricamo, sartoria e falegnameria. Medici appositamente incaricati provvedevano a controllare le condizioni di salute degli ospiti, un’intelligente precauzione atta a prevenire la diffusione di malattie. Col tempo si istituirono figure mediche dedicate, come un chirurgo e uno specialista in malattie veneree, che operavano con l’aiuto degli studenti della scuola di medicina.
C’era pure una scuola di musica, una consuetudine piuttosto comune all’epoca. Tra i ricoverati (spesso bambini abbandonati o orfani) non era raro trovare qualcuno con talento per la musica. Alcuni di loro potevano ambire a entrare a far parte della Regia Cappella di Torino: venivano ascoltati da compositori e musicisti di mestiere che li sceglievano per le loro orchestre musicali e continuavano la loro istruzione.
Le condizioni di vita erano buone e innanzitutto offrivano la garanzia di un pasto caldo. A volte si finiva nell’Ospizio con la forza, come durante l’assedio del 1706, quando il Duca di Savoia ordinò di “sgomberare” le strade di Torino dagli accattoni per avere il passaggio libero ai soldati e alle squadre di soccorso. Ma spesso erano gli stessi poveri, a volte intere famiglie, a presentarsi spontaneamente alle porte del ricovero per chiedere di esservi ammessi.
Il Regio Ospizio di Carità venne spostato nella seconda metà dell’ottocento in una sede più grande e moderna, quella che prese poi la denominazione di Ospizio dei Poveri Vecchi, in corso Unione Sovietica. I locali di via Po, svuotati accolsero per qualche tempo le prime proiezioni pubbliche del Cinema Lumière.
Gli stemmi (ben 24) delle famiglie di coloro che avevano contribuito alle maggiori elargizioni furono posati sulla facciata del palazzo in direzione di via Po, in corrispondenza delle arcate esterne dei portici, da cui appunto il soprannome attuale di Palazzo degli Stemmi. Sull’arcata che corrisponde all’ingresso principale c’è ovviamente lo stemma di casa Savoia, sorretto da statue che raffigurano l’Allegoria della Carità.