Affiancarono una lunga fila di soldati feriti che procedeva verso l’Ospedale di San Maurizio; quelli che non riuscivano a reggersi sulle gambe erano trasportati in barella dai commilitoni, più spesso da frati.

Sotto il porticato dell’Ospedale Giacomo mostrò i sigilli del Vicariato al primo inserviente che gli capitò a tiro e gli ordinò di chiamare il direttore. Dopo un po’ li raggiunse un ometto sulla quarantina dai lineamenti smunti, con una giacca di panno grigio e un gilet fiorito:
«Sono Francesco Gariglio, segretario dell’ospedale. Il signor direttore Ferrero della Marmora mi ha incaricato di assistervi.»
«Vorremmo esaminare il cadavere della Consolata» comandò Giacomo.
«Naturalmente.» Il segretario voltò le spalle per avviarsi e borbottò qualcosa.
«Prego?» gli chiese Gustìn.
«Dicevo che quella salma è un mistero.»

Entrarono in un corridoio con la volta intonacata. Sui giacigli riposavano soldati coperti di bende, e i monaci si spostavano da un ferito all’altro, portando tazze di minestra e fette di pane nero.
L’odore di aceto incombeva, per nascondere odori più sgradevoli. Il sottofondo di lamenti era spezzato ogni tanto da grida strazianti.

In fondo al corridoio una scalinata saliva al piano superiore e una sua versione più piccola sprofondava nel sottosuolo. Gariglio chiamò due infermieri per farsi accompagnare.

Nei sotterranei il freddo era più rigido di quello che era lecito immaginarsi: Gustìn vedeva il suo fiato condensarsi in nuvole di vapore, come d’inverno. Nell’aria aleggiavano odore di muffa e ghiaccio, il miasma acuto dell’aceto e quello dolciastro della decomposizione.

C’erano alcune tinozze di legno, simili a quelle che si usavano per la vendemmia, ma più piccole. Gustìn si affacciò a guardare in quella più vicina, chiedendosi se avrebbe visto il cadavere di un vecchio o di un ragazzo, di uomo o donna, se era stato ucciso in battaglia o da una palla di cannone piovuta dal cielo. Scoprì che la cassa era ricolma di una patina bianca:
«Dove prendete la neve?» chiese al segretario.
«Le ghiacciaie sono qui vicino, sotto il bastione della Consolata.»

(La Città dell’Assedio)

La storia dell’Ordine Mauriziano iniziò il 13 novembre del 1572, quando una bolla “Pro commissa nobis” di papa Gregorio XIII stabilì l’unificazione dei due ordini di San Maurizio e San Lazzaro. Il primo dei due ordini godeva già di grande popolarità a Torino, grazie ad Amedeo VIII che dopo quasi mezzo secolo alla guida del ducato di Savoia era diventato prima eremita e poi papa (col nome di Felice V). Amedeo VIII fondò la “milictia sancti Mauritii”, ispirata al martire della Legione Tebea, che doveva distinguersi per semplicità di vita e abbigliamento, rinuncia alle mondanità,  servizio di Dio e consiglio sui più importanti affari dello stato.

Caduta nel dimenticatoio, la milizia di San Maurizio venne riportata in auge dopo più di un secolo da un altro Duca di Savoia, Emanuele Filiberto, che ne ribadì gli obiettivi: praticare l’assistenza ai bisognosi, agli ammalati e ai lebbrosi, lotta contro gli eretici… e perfino contro i pirati! Per essere ammessi nella milizia bisognava praticare una vita di devozione e castità, lontano dai fasti. Emanuele Filiberto si stava dedicando alla costruzione anche morale del Ducato, e quest’ordine cavalleresco era uno dei tanti tasselli del suo mosaico.

La fusione con la Milizia Ospitaliera di San Lazzaro di Gerusalemme rafforzò la vocazione assistenziale dell’ordine. Il primo Gran Maestro fu naturalmente Emanuele Filiberto, che incamerò tutti i beni dei lazzariti e costituì una dote annua di quindicimila scudi d’oro (ottenuti da una tassa specifica sul vino in Savoia, sul Sale in Piemonte e sul dazio a Susa”

All’Ordine dei Santissimi Maurizio e Lazzaro il Duca assegnò terreni a Stupinigi, Cardé, Settimo Torinese, Sommariva del Bosco, Cavoretto, oltre a diversi possedimenti d’Oltralpe. E, nel 1575, donò una casa con cortile e orto nel quartiere di Porta Doranea (isola di Santa Croce), vicino alla Basilica Magistrale dedicata agli stessi Santi Maurizi e Lazzaro. Questa casa fu adibita a ospedale, anzi a “Spedale della Sacra Religione de’ Ss.Maurizio e Lazzaro” e fu detto anche “Ospedale dei Cavalieri”.

Il fabbricato era all’inizio piuttosto piccolo e non ospitava molti letti, ma aveva uno staff medico piuttosto nutrito, undici persone tra medici, un economo, uno speziale, infermieri e perfino due serve. A dirigere l’ospedale “un Cavaliere della Gran Croce, con titolo di Grande Ospitaliere, il quale ha la sua abitazione nel Palazzo del medesimo” (Giovanni Gaspare Craveri, guida di Torino, 1753). Alla retta annuale proveniente dalle tasse si unirono presto lasciti e donazioni, che consentirono all’Ordine di effettuare un primo consistente ampliamento all’inizio del 1600, acquistando alcuni terreni fabbricabili e poi via via case attigue, abbattute o inglobate in quello che fu sede d’ospedale fino al 1885. I letti passarono da 40 a 150.

L’Ordine divenne sempre più influente, occupandosi di questioni anche diverse dall’assistenza ospedaliera. Nella sua sede di Nizza, per esempio, costituì una marina da guerra e armò due galere (la Piemontese e la Margarita) per combattere la pirateria. Nel 1720 a Stupinigi l’Ordine aprì il primo asilo infantile, nel 1764 nominò un suo cappellano per insegnare a leggere, scrivere e far di conto ai bambini della scuola elementare, sempre a Stupinigi. Un importante lascito testamentario permise la costruzione dell’ospedale di Valenza.

Dopo il momento “di buio” della dominazione napoleonica che abolì gli ordini cavallereschi, la storia dell’Ordine Mauriziano ricominciò sotto la Restaurazione di Vittorio Emanuele I nel 1814 e ritornò in auge ai tempi di Carlo Alberto che aveva a cuore la vocazione assistenziale e sanitaria dello Spedale: a quei tempi venivano ricoverate e soccorse circa mille persone all’anno!

Nel XIX secolo la struttura era ormai inadeguata per le esigenze dei torinesi ed erano stati fatti tutti gli ampliamenti possibili. Nel 1881 Cesare Correnti, primo segretario dell’Ordine, individuò un’area in cui costruire un nuovo ospedale, lontano dal centro cittadino e rispondente a criteri di igiene e salubrità (“in aere più libero, conformato ai progressi della scienza”). Il nuovo ospedale fu costruito in viale Stupinigi (l’attuale corso Turati) e fu il primo in Italia per la realizzazione “a padiglioni separati”. All’inaugurazione, il 7 giugno 1885, presenziò re Umberto I.

Nel 1888 l’ordine donò la maggior parte degli edifici del vecchio ospedale al comune che progettò una ristrutturazione dell’intero isolato con l’obiettivo di farne un’area commerciale. A questo scopo fu costruita la Galleria Umberto I, tuttora esistente. L’unica struttura che fu salvata dalle demolizioni fu l’antica farmacia.

L’immagine in testa al post è tratta dal sito di Museo Torino.